Sono 9 gli indagati, a vario titolo, per una presunta associazione a delinquere sgominata dalla Guardia di Finanza e dedita alle truffe aggravate ai danni dello Stato e dei fornitori, di bancarotta fraudolenta, riciclaggio ed autoriciclaggio. L’ordinanza emessa del Gip ha raggiunto nel corso della mattinata due indagati trasferiti in carcere e cinque agli arresti domiciliari, mentre per altri due è scattato l’obbligo di dimora.
Sequestri per 30 milioni
Notevole il sequestro preventivo per equivalente effettuato dalla Finanza sui conti correnti, sulle quote societarie e sui beni mobili ed immobili riconducibili agli indagati: per 30 milioni euro. I dettagli dell’operazione sono stati resi noti questo pomeriggio (1 marzo) dalla Guardia di Finanza, guidata dal Colonnello Dario Solobrino, che ha lavorato in collaborazione con l’Ufficio delle Dogane (in conferenza stampa il dott. Piero Altieri) sotto la direzione della Procura della Repubblica.
Base a Perugia
Secondo quanto ricostruito dalla Finanza l’organizzazione aveva base operativa a Perugia incassava i proventi delle forniture di gas ed energia elettrica erogati a clienti privati ed aziende (ma anche ad Enti pubblici) ma sistematicamente ometteva il pagamento di oltre 20 milioni di euro di accise, iva e delle altre imposte.
L’inchiesta ‘Great Energy’
Le indagini sono scattate dopo una segnalazione che ha portato ad individuare due imprenditori locali che con l’aiuto di un avvocato perugino e di numerosi “uomini di fiducia”, hanno utilizzato nel tempo, in rapida successione, tre società preordinatamente destinate ad operare nel mercato energetico in completa evasione di imposte, maturando ingenti debiti anche nei confronti dei fornitori.
La truffa dell’energia
Il meccanismo fraudolento prende il via quando la prima delle società coinvolte richiede all’Agenzia delle Dogane di Perugia le autorizzazioni ad erogare prodotti energetici, dichiarando di possedere un irrisorio numero di clienti e versando di conseguenza una cauzione minima. In un gioco di scatole cinesi societarie “switchtavano” da una società che poi chiudevano all’altra (che artatamente aprivano) i clienti e i contratti, rimanendo sempre nel regime di autorizzazione con una cauzione minima, anche se invece clienti e volume d’affari era notevole. Così i clienti venivano solo informati degli avvicendamenti societari, fino a quando qualcuno si è insospettito.
Prestanome
Ma il salto di qualità criminale avviene grazie all’acquisizione, all’esito di sofisticati passaggi societari, del cospicuo pacchetto clienti di un’importante e storica società del settore energetico. Fino a quando non sono stati scoperti e il professionista perugino ha persino tentato lo “svuotamento” dalle casse dell’ultima azienda del “ciclo vizioso” per ben nove milioni di euro, simulando dei contratti di fornitura con una società residente negli Emirati Arabi, ma, di fatto, riconducibile ad uno dei due promotori dell’organizzazione.
Soldi sporchi
Il tutto dunque per garantirsi, attraverso il prestanome, provviste finanziarie in parte rientrate in Italia, occultate sotto la forma di aumento del capitale sociale di due distinte aziende, operanti nel campo dell’energia e della nautica. Complicato quanto basta per cercare di ingannare i controlli. Così la Finanza ha scoperto tutto.