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Cultura della vita e cultura della morte

Redazione

Cultura della vita e cultura della morte

Lun, 05/11/2007 - 19:57

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Mezza Italia è in movimento per il ponte dei Santi. Le radici cristiane, liberate dalle ideologie, si manifestano nel sentire del popolo, soprattutto quando questo si esprime in gesti di massa. “Pasqua d’Ognissanti” è occasione per ricordare le beatitudini evangeliche, i Santi del Cielo e quanti, da ogni famiglia, dopo aver provato a vivere la vita nella giustizia e nelle pietà, sono in paradiso. Sarebbe superficiale chi volesse limitare la lettura della grande affluenza delle famiglie alle tombe dei loro cari solo a un fatto di convenzione o di emotività. Il cristianesimo ha apportato alla cultura il valore aggiunto della speranza e l’apertura interiore agli universali, quanto meno come provocazione rivolta a tutti. L’orrore di fronte alla violenza e al disprezzo della vita riesce a far convergere su analoghe valutazioni di principio persino le diverse opzioni della politica nazionale: cosa a cui da tempo, purtroppo, non siamo più avvezzi. Nel duello inevitabile tra vita e morte, la proposta della fede è decisamente schierata a favore della vita. La conseguenza tutta umbra che ne trae Frate Francesco in qualche modo appartiene anche a noi: “laudato si’, mi’ Signore per sora nostra morte corporale, dalla quale nullu homo vivente po’ skappare: guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no’l farà male”. Sarebbe un utile uso di queste giornate di inizio di novembre se le considerazioni, che nascono dalle nostre comuni radici, ci aiutassero a farci carico della questione educativa, così almeno come si propone al momento presente in Italia. Sarebbe saggio se ci chiedessimo cosa abbiamo insegnato ai figli, prima di esprimere giudizi su che cosa essi facciano. Vi è un moralismo fortemente ideologico che prescinde dalla stessa visione che l’uomo ha su di sé – dalla questione antropologica – e fonda il giudizio sul bene e sul male, basandosi su categorie estrinseche. Il rispetto della natura e dell’ambiente sono valori sui quali nessun cristiano ama transigere, ed è bene anche educarvi le nuove generazioni, purché si assegni all’uomo la centralità sul creato e si rammenti che tocca a noi dare il nome a tutto l’universo. So che questa espressione tipica della Bibbia, deve essere sciolta per essere compresa. Tocca a noi insegnare ai “cuccioli d’uomo” che il mondo c’era prima di noi; che solo l’amore vince la morte; che la violenza non risolve mai alcun problema; che l’impegno sofferto e intelligente porta buoni frutti, anche in politica; che non bastano rette intenzioni, se non si ha rispetto e considerazione per gli altri, nelle loro diversità, con cui sempre è dovere dialogare. Quello dell’educatore non è un ruolo, ma un modo d’essere. Non è a senso unico, ma è un processo vicendevole. Soprattutto col passare degli anni, ognuno ha il dovere di essere autorevole, per quanto gli riesce. Ciò che fa crescere in questo cammino fortemente umanizzante è solo la sapienza, non il potere o il prestigio sociale. Ciò che fa di ciascuno di noi un educatore, verso i più giovani e i più fragili, a qualunque età appartengano, non è l’occupazione a cui uno si dedica, o il lavoro che si svolge, ma lo spessore interiore che si ha. Nella storia intellettuale di ogni persona è sano curare una sorta di ecologia dello spirito. Pochi sono i libri che uno riesce a leggere e bisogna sceglierli con cura, perché ci pongono inevitabilmente di fronte al bivio della vita. Ci possiamo permettere molte cose, ma non di essere banali, di sprecare il tempo. I libri – o le trasmissioni televisive a cui gran parte della gente oggi si dedica – ci possono indurre a rimediare il male che c’è al mondo, magari con fatica e sacrificio personale, o ci illudono di poter essere implacabili giustizieri, inesorabilmente illusi di correggere il male col male, con la presunzione di ottenerne un bene. La violenza è sempre figlia del disprezzo per gli altri, mai dell’amore. La libertà è “la perla preziosa” che ci manifesta figli di Dio, al di là delle ideologie o delle opzioni di parte. Niente vi è di più esaltante che poter scegliere, ma niente ci fa più responsabili delle conseguenze che fanno seguito alle nostre decisioni, che le scelte che abbiamo fatto. Questa è quella “scintilla divina”, che esaltò i nostri antenati del Rinascimento. La civiltà umbra, con le sue apprezzate virtù di umiltà e pacatezza, torna anche oggi a chiedere ai padri cosa mai abbiano insegnato ai figli, soprattutto quando per costruire la pace c’è chi vorrebbe usare la violenza e, per ottenere giustizia, sembra optare per la cultura della morte.

Come pastore della Chiesa, amerei che le visite di questi giorni tra i crisantemi, animate spesso da curiose domande per riconoscere, dietro ai nomi sulle lapidi, storie di vita dei trapassati, dessero occasione per chiederci quanto siamo capaci di educare. Gioverebbe interrogarci se ci siamo fatti carico del dovere di passare ai figli, quanto meno quello che abbiamo ricevuto; se di fronte al fatto della morte che popola i cimiteri, siamo impegnati ad essere uomini e donne pronti per scegliere la vita. Se la “morte secunda” non ci faccia più orrore della “sora nostra morte corporale”. Forse giova a diventare un po’ più giusti, tornare a temere il confronto con gli antenati.

+ Riccardo Fontana

Arcivescovo di Spoleto-Norcia

(tratto da Il Giornale dell'Umbria – Edizione 4 nov. 2007)


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