Alessia Chiriatti
Niente di nuovo sotto il sole: sostenibilità, cultura, sicurezza, legalità, università. Tutti punti di forza che stanno a cuore a chi scende in campo e si candida per il “cambiamento e il bene della città di Perugia”. Parole d'ordine, senza le quali sembra quasi impossibile fare campagna elettorale di questi tempi. Anche l'avvocato Urbano Barelli, presidente di Italia Nostra, è dello stesso avviso. Intercetta quella parte di elettorato che si rifà, seppur legittimamente, a questo tipo di esigenze: sul piatto il degrado del centro storico, la crisi del manifatturiero, la bulimia edilizia, il calo degli iscritti all'università. Per dimostrarlo, sul palchetto, durante la conferenza stampa di presentazione delle liste a sostegno di Barelli tenutasi a Palazzo Donini (CReA Perugia con Urbano Barelli, dove CReA sta per Comitati, Reti e Associazioni di Perugia, e Perugia rinasce – Urbano Barelli sindaco), sfilano presidenti e membri delle più svariate associazioni, da Legambiente, al Touring Club Italia, a Piazza Grimana e dintorni, ai Radicali, fino anche all'Associazione per la Sicurezza Stradale.
“Sacrificio e impegno” – Così Barelli, dice, ha accettato, perché invitato dai sostenitori del progetto, di candidarsi. Al suo fianco, Amato De Paolis e Lillaci. “Qualcuno lo deve pur fare. Perugia è in declino e difficoltà, il suo degrado nasce perché non c'è spirito di comunità. Abbiamo un grosso problema legato alla spesa pubblica, le tariffe sono tra le più alte d'Italia”. Si offre dunque come alternativa: “Il centrosinistra ha fallito e il centrodestra è colpevole allo stesso modo”. “Rivendica la paternità della protesta per la costruzione dello “steccone” a San Bevignate: “se non fosse stato per noi lo studentato a San Bevignate sarebbe stato costruito. Ora è un progetto orfano. C'è stato il tavolo tra le parti, noi non siamo stati invitati. Non c'è trasparenza”. A complicare la situazione, secondo il candidato, la probabilità che anche le Regioni chiudano, dopo le province, con il conseguente impatto sull'economia perugina. “Le regioni più piccole, come Umbria, Molise e Basilicata verrebbero accorpate. Non dico che a Terni ne sarebbero felici, ma quasi”. Per questo, secondo Barelli, bisogna puntare a far diventare Perugia il capoluogo di un territorio più vasto, che diventi punto di riferimento anche per Marche e Abruzzo, una “grande Perugia tra Roma e Firenze”.
“I numeri del declino della città” – “Perugia detiene il triste primato nazionale dei morti per droga: 21 decessi nel 2012 con una percentuale del 3,8% ogni centomila abitanti a fronte di una media italiana pari all'un per cento. Una percentuale di quattro volte superiore a quella nazionale è un dato drammatico sul quale, dopo l'omicidio Meredith, sono state svolte inchieste giornalistiche e trasmissioni televisive che tendono a drammatizzare la nostra città e a descriverla con toni sempre più foschi che non possono essere condivisi”. Per parlare di sicurezza, Barelli e i suoi sostenitori citano il dato de Il Sole 24Ore a proposito della qualità della vita a Perugia: una classifica scalata in discesa, secondo la quale la città “in un solo anno ha perso diciannove posizioni ed è scivolata al 43esimo posto”.
Meno cemento più cultura – Arriva alla fine la parte costruens del progetto: tra le mille critiche di quello che è stato, di ciò che non si è fatto e di quello che avrebbe potuto essere, si è parlato dell'anagrafe dei rifiuti, di bilancio partecipato, dell'opposizione al progetto di una seconda tratta di minimetrò, contro il cosiddetto brucomela “che ad oggi ci porta via 28mila euro al giorno”. Di rivalorizzare il territorio, non certo con “manifestazioni come quella di Perugia2019, che è solo un assemblaggio di eventuali”; qualcuno ha detto dalla platea. E ancora di democrazia e partecipazione, di sostenibilità e coesione sociale. Aspettando che la campagna elettorale entri nel vivo, con programmi e progetti, nonostante il clima, con le dovute mosse politiche magari malcelate, si respiri da tempo.
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