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Covid, mascherine Ffp2 non in regola, ecco come difendersi

Sono ormai passate alcune settimane dalla denuncia mediatica grazie alla quale è stata evidenziata la presenza sul mercato italiano di mascherine Ffp2 non a norma.

Il caso era uscito alla ribalta delle cronache nazionali quando un’azienda di Bolzano aveva segnalato che molti dei dispositivi di protezione importati in Italia, pur avendo il marchio CE, no rispondevano agli standard di sicurezza.

Nonostante le dichiarazioni, però al momento non c’è stata ancora nessuna comunicazione ufficiale in merito, da parte delle Autorità Sanitarie del nostro Paese o altri organi di competenza Neppure l’OLAF, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode ossia l’organo europeo che sovraintende tra le altre cosa ai controlli sulle contraffazione del marchio CE, ha fatto alcuna dichiarazione.

Un silenzio che lascia presupporre che sul mercato italiane vi siano veramente in circolazione mascherine non sono a norma e dunque potenzialmente non sicure.

Per fare un po’ di chiarezza abbiamo cercato di approfondire l’argomento, così importante per la salute dei cittadini, e abbiamo parlato con un operatore del settore: la BlueBag Italia. L’azienda di Milano, una delle più attive nelle forniture di FFP2 per le commesse statali ,ci ha spiegato alcune delle prerogative fondamentali da tenere presente nella scelta delle mascherine.

Come avviene la marcatura CE?

“Il Marchio CE apposto ad un prodotto consente la libera circolazione dello stesso all’interno della unione europea. La marcatura CE, in vigore dal 1993, indica la conformità a tutti gli obblighi che incombono su produttori, distributori e importatori di un determinato prodotto sottoposto a normativa comunitaria.

Dunque tutte le aziende produttrici di mascherine, siano esse in Europa o fuori dai confini della Comunità Europea, devono sottoporre le proprie FFP2 ai test per ottenere la marcatura CE, secondo le ormai famose normative tecniche UNI EN 149 (Direttive europee e classificazioni per mascherine facciali filtranti ndr).

Superati questi test le aziende dovranno avviare un processo di marcatura CE tramite un organo terzo e notificato all’Unione Europea”.

E perché allora alcune FFP2 non ci proteggono?

“Una volta ottenuto la marcatura CE, il fabbricante non è più soggetto a controlli. O per meglio dire nessun organo controlla periodicamente le mascherine in modo sistematico.

Questo fa sì che alcuni produttori potrebbero immettere sul mercato delle mascherine senza seguire più le regole con le quali avevano ottenuto l’autorizzazione europea. Per esempio potrebbero utilizzare materiali scadenti, per avere maggiore competitività sul mercato.

Quindi non è tanto come si è ottenuto il CE a fare da ago della bilancia, ma dal comportamento del beneficiario del CE; il tutto si basa sulla correttezza del fabbricante.

E’ presumibile quindi che ci siano sul mercato delle mascherine FFP2 regolarmente marcate, ma mal funzionanti. Questo a prescindere dal codice assegnato all’ente certificatore (il codice di quattro numeri che segue il CE ndr).”

Non bastano i controlli sulla merce?

Dopo aver parlato con produttori e importatori italiano, abbiamo capito che c’è solo una soluzione: testare con sistematicità le mascherine che vengono per lo più importate in Italia per poi essere immesse sul mercato di distribuzione di enti o di commercio al dettaglio.

“Questo compito è in parte svolto dall’Agenzia delle Dogane, per la merce importata e dalla Autorità Sanitarie per la merce fabbricata in Italia o in UE, ma i controlli non sembrano essere sufficienti a coprire la grande quantità materiale di protezione sanitaria che a causa della pandemia sta circolando in questo periodo nel nostro Paese”.

La vostra azienda come fa ad essere certa della qualità dei suoi prodotti?

“Per tutelare i nostri clienti non abbiamo altra soluzione che ri-testare le mascherine, questo procedimento avviene ogni volta che arriva un nuovo lotto/container. Il procedimento di test non equivale ad una ri-certificazione ma una procedura base che testa filtrazione e stabilità del prodotto.

Noi ci affidiamo sempre ad un Organo Notificato; nel 2020 era necessario rivolgersi a Enti presenti in Europa. Nell’ultimo anno invece sono presenti anche in Italia e la procedura è diventata ancora più semplice. Noi ci affidiamo a Dolomiticert di Longarone che con pochi giorni ci invia i risultati, e solo allora ci riteniamo pronti all’immissione del prodotto nel mercato Europeo.

Inoltre realizziamo i nostri acquisti presso aziende medicali che esistono da decenni. Uno dei nostri maggiori fornitori è Jinlu Medical Group, che insieme a Smith & Nephew, è fra i maggiori player in diversi campi medicali. Evitiamo quindi aziende “neonate” sull’onda dell’aumento di richieste di mascherine FFP2.

Riassumendo sono dunque due le componenti che hanno peso nella selezione dei fornitori: affidabilità del produttore e ri-test costante dei lotti di produzione.

Come può proteggersi un consumatore che non ha tutte queste competenze?

“Non certamente guardando i 4 numeri del certificatore; in questo periodo si è parlato spesso dell’Ente 2163, associato erroneamente a mascherine non a norma. La cosa ha dell’assurdo, un po’ come selezionare un taxista chiedendo in quale agenzia ha frequentato il corso per la patente.

Abbiamo visto come il marchio CE sia emesso da enti riconosciuti (che hanno un codice identificativo univoco, come il 2163), ma che una volta emesso la concessione su un determinato prodotto, sta poi al produttore mantenere lo standard certificato. Se questo passaggio non è spiegato in maniera adeguata agli utenti finali, l’associazione erronea tra il codice dell’ente certificatore e il prodotto non a norma può diventare fuorviante. Questo può infatti indurre il consumatore ad associare il codice dell’ente certificatore che segue il CE alla affidabilità o meno del prodotto.

Senza poi considerare le mascherine fake; è logico attendersi che ora tutti i “falsari” useranno dei numeri di certificazione fra quelli meno conosciti e diffusi.

Per i clienti istituzionali procedere a un acquisto sicuro è semplice: ad esempio noi di BlueBag abbiamo fornito INAIL e l’Istituto Superiore di Sanità. Questi Enti hanno la possibilità di ri-testare in autonomia ciò che comprano, controllando quindi il nostro operato.

Per il normale consumatore invece diventa praticamente impossibile, l’unica soluzione è richiedere al venditore dei test recenti effettuati in Italia sul prodotto che sta acquistando.

Si dovrebbero comunque comprare solo prodotti con patente CE accompagnati, con cadenza almeno semestrale, da un test emesso da un organo di controllo indipendente. Un po’ come avviene per le autovetture, i dispositivi di protezione sanitaria dovrebbero essere prodotti soggetti a controlli periodici”.

Quindi quali sono le vostre conclusioni?

La nostra conclusione è di non fidarsi di nessun “numero” e nessun venditore ma chiedere sempre documentazione recente atta a dimostrare la bontà del prodotto; il resto sono solo parole per riempire i palinsesti televisivi”.