Baby sitter e collaboratori aumentano il dato dei lavoratori ma nel 2020 si sono persi 6345 dipendenti privati, 449 artigiani e 310 commercianti | I dati sui redditi
A guardare solo il numero macro si direbbe che la tragedia sanitaria (e sociale) del Covid abbia invece portato benefici nel mondo del lavoro: 5.198 posti in più in Umbria nel 2020 (l’anno del lockdown di marzo), rispetto al 2019. Nella regione, nel primo anno segnato dalla pandemia, il totale dei lavoratori è salito a 370.001. Un aumento pari all’1,4% (+0,3% il dato nazionale).
Appena però si va ad analizzare cosa c’è dietro quel numero, e quindi la qualità del lavoro offerto (e delle relative retribuzioni) ecco che ci si rende conto della gravità delle conseguenze della pandemia anche nel mercato del lavoro.
Il sommerso
Dati ufficiali sui quali, ai quali, tra l’altro, occorre aggiungere quanto accaduto (anche se di difficile quantificazione) nel sommerso, che notoriamente ha il suo peso in Italia (e in Umbria), specialmente in alcuni settori. Le più recenti stime Istat quantificano la parte non rilevata dell’economia regionale al 15,3% del valore aggiunto totale, una percentuale più alta di quella media nazionale (12,6%) e di ciascuna delle altre regioni centro-settentrionali.
L’incidenza del Covid sul mercato del lavoro
In base all’elaborazione Aur dei dati Inps, ad aumentare nel 2020 sono stati i lavoratori classificati come “altri”, cioè né dipendenti (pubblici o privati), né autonomi “classici”. Anzi, tra questi “altri” gli unici ad aumentare sono stati coloro che hanno avuto contratti occasionali o tramite voucher. Prima della pandemia ce n’erano un migliaio così classificabili in Umbria, nel 2020 sono saliti a 11.018. Tanto da arrivare ad essere il 3% della forza totale nella regione. Tanti di questi “nuovi lavoratori” sono legati al bonus baby-sitting, introdotto per fronteggiare le conseguenze del Covid-19. Insomma, con tutto il rispetto, ovviamente, per chi ha svolto questa attività così importante per tante famiglie, non certo un’occupazione stabile, segno di un’economia in salute.
L’altro incremento consistente ha riguardato i dipendenti pubblici: 1601 uno in più, che hanno fatto salire a 53.304 coloro che sono stipendiati da Stato, Regioni, Comuni ed altri enti o società pubbliche.
Anche i domestici in regola sono aumentati, quasi mille in più.
Per il resto, nonostante sussidi, cassa integrazione e blocco dei licenziamenti, la crisi innescata dalla pandemia ha fatto strage di posti di lavoro tradizionali. In Umbria in Umbria si sono persi 6345 posti di lavoro dipendente nelle aziende private. Hanno smesso di lavorare anche 449 artigiani e 310 commercianti. Persi anche 222 dottorandi e specializzandi. Mentre sono aumentati di 140 unità gli operai agricoli.
Insomma il Covid, in attesa di conoscere quanto si sia riusciti a recuperare nel 2021, un anno comunque segnato da emergenza sanitaria e restrizioni, ha ridisegnato profondamente il mondo del lavoro anche in Umbria.
Durata di contratti e collaborazioni
Come evidenziano nell’analisi Aur Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia, l’impatto in termini di reddito generato dai lavoratori con vaucher è ovviamente marginale, anche perché commisurato a una durata molto ridotta di impegno lavorativo (in media 10 settimane annue, a fronte delle 41 totali).
Se aumentano le unità lavorative, poi, diminuisce il numero medio annuo di settimane lavorate (3 in meno). Soprattutto tra i dipendenti privati e gli occasionali, ma non tra artigiani, commercianti e autonomi agricoli, i quali continuano a caratterizzarsi per il massimo tempo dedicato al lavoro (51 settimane annue in media).
Redditi da lavoro
In base allo studio Aur, ai lavoratori umbri in esame sono complessivamente attribuibili 7.351 miliardi di euro (l’1,3% del relativo ammontare italiano). Per oltre la metà provengono dal lavoro dipendente privato e per quasi un quarto dal lavoro dipendente pubblico: si conferma, anche con questa chiave di lettura, la maggiore presenza della Pubblica Amministrazione nel contesto regionale (in Italia le quote di reddito corrispondenti sono pari a 58% e 21% rispettivamente). Incide relativamente di più nella regione anche quanto dichiarato dai lavoratori autonomi, in particolare artigiani e commercianti, nonché dalle altre tipologie di lavoratori.
In Umbria, poi, circa il 6,3% del totale riguarda lavoratori con più posizioni, con un reddito medio da lavoro pari a 25.833 euro, il 33% in più rispetto a quello dei lavoratori con una sola posizione. Il reddito medio annuo imputabile alle posizioni uniche è dunque di 19.466 euro, inferiore del 9% rispetto al valore nazionale (21.341 euro).
Guardando alle retribuzioni medie, l’entità più elevata corrisponde ai dipendenti pubblici (oltre 33 mila euro in Umbria come in Italia), seguiti dagli amministratori (quasi 33 mila euro in Umbria, oltre 39 mila in Italia). Arrivano quasi a 19 mila euro i commercianti, i dipendenti privati e gli artigiani, però per valori più bassi dei relativi importi italiani. Questo è vero soprattutto per i dipendenti privati (-11%) che, data la massiccia presenza, contribuiscono in maniera determinante al sottodimensionamento dei redditi umbri rispetto alla media nazionale. Un dato, quello sugli autonomi, che ovviamente sconta l’annosa questione del “nero” che deforma, specie per alcune categorie, le medie ufficiali.
D’altra parte – evidenziano gli analisti dell’Aur – lo strutturale stazionamento al di sotto dei livelli nazionali delle retribuzioni da lavoro nella componente privata è un fenomeno non nuovo per l’Umbria ma, anzi, ampiamente noto: come più volte rilevato, si collega alle peculiarità degli assetti produttivi locali – in prevalenza polverizzati, posizionati nella parte centrale della filiera, specializzati in settori a minore intensità di ricerca e innovazione e a più basso valore aggiunto, tarati su modelli di gestione tradizionali e a bassa domanda di lavoro altamente qualificato – che, nel loro insieme, determinano livelli di produttività inferiori rispetto ai già insoddisfacenti valori nazionali. Tali elementi penalizzano la dinamica retributiva, che in Umbria tende a mantenere nel tempo una distanza di circa una decina di punti percentuali rispetto al dato italiano.
Reddito medio diminuito di quasi il 7%
L’indagine Aur evidenzia come nel 2020 il reddito medio sia diminuito complessivamente rispetto all’anno precedente del 6,9% (-6,0% in Italia). Ovviamente si è lavorato anche di meno, a causa del lockdown e di altre restrizioni. Pertanto tale contrazione è sostanzialmente attribuibile al minore tempo di lavoro. Tuttavia, vi sono differenze anche importanti all’interno delle varie categorie.
Nel caso di commercianti, artigiani e professionisti la riduzione del reddito medio è stata determinata prevalentemente da una contrazione dell’attività realizzata. Invece il calo del reddito dei dipendenti privati si spiega con una diminuzione del tempo lavorato, visto che il reddito medio settimanale ha subito un incremento.
Quanto si guadagna in media
L’elaborazione dell’Aur mostra una contrazione della retribuzione media per quasi tutte le categorie di lavoratori. Ad eccezione appunto degli occasionali (ma con le avvertenze scritte sopra), di dottorandi e specializzandi e degli autonomia agricoli.
I più penalizzati sono stati invece i professionisti, che hanno contrarsi del 13,7% il reddito medio annuo dal 2019 al 2020: dichiarano in media circa 13mila euro, a fronte dei 16mila in Italia.
Cali tra il 6 e il 4,9% per dipendenti del settore privato (18.910 euro la media annua) e commercianti (18.991 euro).
Contrazione media (su questo influiscono i nuovi contratti) della retribuzione dei dipendenti pubblici, che mediamente guadagnano 33mila euro. Una media che però è data dalla grande diversità di retribuzioni in base alle mansioni ricoperte.
Gli amministratori, che in Umbria guadagnano mediamente 32.726 euro annui (la media italiana è di 39135 euro) hanno visto nel 2020 il loro compenso complessivo scendere dello 0,8%.