(Adnkronos) - Non uscire, o uscire molto meno, è la 'nuova normalità' post Covid. Le cene? Averne fatte più spesso a casa in famiglia, nei lockdown, rispetto al passato ha avuto come vantaggio anche un aumento della qualità del tempo trascorso con i propri cari a tavola. Così l'esperienza della pandemia ha cambiato le abitudini quotidiane delle persone. Con un impatto pervasivo, ma anche duraturo, certifica la scienza. Due studi esplorano questi aspetti, dalla routine a tavola alla vita 'mondana'.
Rispetto all'esistenza prima del Covid-19, per esempio, secondo un nuovo studio pubblicato sul 'Journal of the American Planning Association', le persone trascorrono quasi un'ora in meno al giorno facendo attività fuori casa, comportamento che i ricercatori sostengono essere una conseguenza duratura della pandemia. Dal 2019 il calo complessivo del tempo di vita fuori casa è di circa 51 minuti, e si aggiunge anche una riduzione di quasi 12 minuti nel tempo trascorso alla guida della propria auto o sui mezzi pubblici.
L'analisi è basata su un sondaggio condotto su 34mila americani, ed è la prima a considerare e analizzare come è cambiato questo aspetto della vita fuori casa rispetto al tempo fra le mura domestiche dopo la pandemia. Gli autori della Clemson University e dell'Ucla (University of California Los Angeles) hanno documentato una tendenza che risale almeno al 2003, ma il Covid e le sue conseguenze hanno notevolmente aumentato questo spostamento delle persone verso la vita domestica. I ricercatori che firmano lo studio sono urbanisti, e sostengono che la tendenza a uscire meno di casa richieda un ripensamento di molte politiche di pianificazione e trasporto. Per esempio vanno ripensati uffici e negozi, se aumenta il lavoro da remoto e lo shopping da casa. I centri urbani devono un po' reinventarsi per adattarsi alle nuove esigenze. Si dovrebbe cercare, secondo l'autore principale Eric A. Morris, professore di pianificazione urbana e regionale alla Clemson University, di "investire di più nei punti di forza rimanenti", fra cui "opportunità per la ricreazione, l'intrattenimento, la cultura, l'arte e altro ancora. Le città centrali potrebbero spostarsi verso il diventare centri di consumo più che di produzione".
A 'spiare' invece le famiglie a tavola è stata una ricerca pubblicata dall'American Psychological Association. Lo studio, pubblicato sulla rivista 'Couple and Family Psychology: Research and Practice', ha osservato che le famiglie che mangiavano insieme più spesso durante la pandemia avevano anche interazioni più positive, condividevano notizie e informazioni e adottavano rimedi tecnologici come le videochiamate per restare in contatto pure con i familiari lontani. Secondo l'autrice principale Anne Fishel, Massachusetts General Hospital, nel complesso la ricerca suggerisce che l'aumento della frequenza delle cene in famiglia durante la pandemia potrebbe aver avuto effetti positivi duraturi sulle dinamiche familiari.
Gli esperti hanno esaminato i dati di un sondaggio condotto a maggio 2021 su 517 genitori di diverse etnie e condizioni socioeconomiche negli Stati Uniti. Il loro obiettivo era indagare sui cambiamenti nella frequenza e nella qualità delle cene in famiglia durante la pandemia di Covid. Oltre il 60% degli intervistati ha dichiarato di cenare insieme più spesso rispetto al periodo prima dell'irruzione di Sars-CoV-2 nelle vite di tutti. "Questo studio evidenzia l'importanza di esaminare sia la frequenza che la qualità per comprendere il quadro completo di come i pasti condivisi possano avere un impatto sulle famiglie", dice Fishel.
Proprio per questo motivo ai partecipanti è stato chiesto sia della frequenza delle cene, che della qualità e delle aspettative post-pandemia. In particolare, "il 56% ha affermato di aver parlato di più delle proprie giornate durante la cena, il 60% di aver parlato di più della propria identità di famiglia, il 60% ha raccontato di aver espresso più gratitudine, il 67% di aver riso di più insieme e il 59% di essersi sentito più connesso l'uno con l'altro a tavola", elenca Fishel. Questa associazione positiva è stata evidente in base a livelli di reddito, istruzione, età, genere e razza. La pandemia ha introdotto anche nuovi aspetti nelle cene in famiglia, per esempio i pranzi a distanza (in videochiamata) con i membri della famiglia allargata e più discussioni sugli eventi attuali, continua Fishel. Molte famiglie hanno quindi rafforzato potenzialmente il senso di appartenenza a un nucleo familiare più ampio. La maggior parte dei genitori che ha aumentato l'uso della tecnologia per le cene a distanza in pandemia ha riferito di voler continuare la pratica anche dopo.
I ricercatori hanno anche scoperto che più famiglie hanno preso l'abitudine di portare notizie e informazioni dal mondo esterno nelle loro conversazioni a cena, offrendo potenzialmente ai bambini uno spazio sicuro in cui discutere di ansie e dubbi con i genitori. Allo stesso modo "l'uso continuato della tecnologia da remoto per connettersi con chi non è fisicamente presente può portare a continue opportunità di legame familiare e far sì che i bambini provino un senso di appartenenza a un'unità più grande, che sappiamo essere protettivo per il loro benessere", conclude Fishel.
Quanto al resto delle attività casalinghe, l'altro studio entra nel merito considerando sia le abitudini di lavoro che quelle di svago, dati ricavati dall'American Time Use Survey, fotografia annuale di come gli americani trascorrono il loro tempo, in esecuzione dal 2003. Gli autori hanno esaminato il comportamento degli adulti da 17 anni in su e hanno raggruppato l'uso del tempo in 16 attività in casa dal sonno all'esercizio fisico, oltre a 12 attività fuori casa tra cui eventi artistici e sportivi, shopping, lavoro, appuntamenti religiosi. Separatamente, hanno analizzato i viaggi in auto, a piedi e sui mezzi pubblici. I risultati hanno mostrato che il tempo trascorso su 8 delle 12 attività fuori casa è diminuito dal 2019 al 2021, mentre 11 delle 16 attività domestiche sono aumentate. Il tempo medio per le attività fuori casa è sceso da 334 minuti al giorno nel 2019 a 271 nel 2021, all'incirca da 5,5 ore al giorno fuori casa a 4,5. Lo 'smart working' per gli autori spiega parte di questa tendenza, ma ci sono state grandi diminuzioni anche in altri usi del tempo fuori casa. La quota lontano dalle mura domestiche si è ripresa solo modestamente dopo la pandemia, rimbalzando di soli 11 minuti dal 2021 al 2023 (fino a 281). E la tendenza a uscire meno sembra reggere. Questo 'ritiro in casa' era in corso da almeno 16 anni prima della pandemia. Ma i cali delle attività fuori dal domicilio sono stati molto maggiori dopo la pandemia rispetto ai trend precedenti.
(Adnkronos) – Non uscire, o uscire molto meno, è la ‘nuova normalità’ post Covid. Le cene? Averne fatte più spesso a casa in famiglia, nei lockdown, rispetto al passato ha avuto come vantaggio anche un aumento della qualità del tempo trascorso con i propri cari a tavola. Così l’esperienza della pandemia ha cambiato le abitudini quotidiane delle persone. Con un impatto pervasivo, ma anche duraturo, certifica la scienza. Due studi esplorano questi aspetti, dalla routine a tavola alla vita ‘mondana’.
Rispetto all’esistenza prima del Covid-19, per esempio, secondo un nuovo studio pubblicato sul ‘Journal of the American Planning Association’, le persone trascorrono quasi un’ora in meno al giorno facendo attività fuori casa, comportamento che i ricercatori sostengono essere una conseguenza duratura della pandemia. Dal 2019 il calo complessivo del tempo di vita fuori casa è di circa 51 minuti, e si aggiunge anche una riduzione di quasi 12 minuti nel tempo trascorso alla guida della propria auto o sui mezzi pubblici.
L’analisi è basata su un sondaggio condotto su 34mila americani, ed è la prima a considerare e analizzare come è cambiato questo aspetto della vita fuori casa rispetto al tempo fra le mura domestiche dopo la pandemia. Gli autori della Clemson University e dell’Ucla (University of California Los Angeles) hanno documentato una tendenza che risale almeno al 2003, ma il Covid e le sue conseguenze hanno notevolmente aumentato questo spostamento delle persone verso la vita domestica. I ricercatori che firmano lo studio sono urbanisti, e sostengono che la tendenza a uscire meno di casa richieda un ripensamento di molte politiche di pianificazione e trasporto. Per esempio vanno ripensati uffici e negozi, se aumenta il lavoro da remoto e lo shopping da casa. I centri urbani devono un po’ reinventarsi per adattarsi alle nuove esigenze. Si dovrebbe cercare, secondo l’autore principale Eric A. Morris, professore di pianificazione urbana e regionale alla Clemson University, di “investire di più nei punti di forza rimanenti”, fra cui “opportunità per la ricreazione, l’intrattenimento, la cultura, l’arte e altro ancora. Le città centrali potrebbero spostarsi verso il diventare centri di consumo più che di produzione”.
A ‘spiare’ invece le famiglie a tavola è stata una ricerca pubblicata dall’American Psychological Association. Lo studio, pubblicato sulla rivista ‘Couple and Family Psychology: Research and Practice’, ha osservato che le famiglie che mangiavano insieme più spesso durante la pandemia avevano anche interazioni più positive, condividevano notizie e informazioni e adottavano rimedi tecnologici come le videochiamate per restare in contatto pure con i familiari lontani. Secondo l’autrice principale Anne Fishel, Massachusetts General Hospital, nel complesso la ricerca suggerisce che l’aumento della frequenza delle cene in famiglia durante la pandemia potrebbe aver avuto effetti positivi duraturi sulle dinamiche familiari.
Gli esperti hanno esaminato i dati di un sondaggio condotto a maggio 2021 su 517 genitori di diverse etnie e condizioni socioeconomiche negli Stati Uniti. Il loro obiettivo era indagare sui cambiamenti nella frequenza e nella qualità delle cene in famiglia durante la pandemia di Covid. Oltre il 60% degli intervistati ha dichiarato di cenare insieme più spesso rispetto al periodo prima dell’irruzione di Sars-CoV-2 nelle vite di tutti. “Questo studio evidenzia l’importanza di esaminare sia la frequenza che la qualità per comprendere il quadro completo di come i pasti condivisi possano avere un impatto sulle famiglie”, dice Fishel.
Proprio per questo motivo ai partecipanti è stato chiesto sia della frequenza delle cene, che della qualità e delle aspettative post-pandemia. In particolare, “il 56% ha affermato di aver parlato di più delle proprie giornate durante la cena, il 60% di aver parlato di più della propria identità di famiglia, il 60% ha raccontato di aver espresso più gratitudine, il 67% di aver riso di più insieme e il 59% di essersi sentito più connesso l’uno con l’altro a tavola”, elenca Fishel. Questa associazione positiva è stata evidente in base a livelli di reddito, istruzione, età, genere e razza. La pandemia ha introdotto anche nuovi aspetti nelle cene in famiglia, per esempio i pranzi a distanza (in videochiamata) con i membri della famiglia allargata e più discussioni sugli eventi attuali, continua Fishel. Molte famiglie hanno quindi rafforzato potenzialmente il senso di appartenenza a un nucleo familiare più ampio. La maggior parte dei genitori che ha aumentato l’uso della tecnologia per le cene a distanza in pandemia ha riferito di voler continuare la pratica anche dopo.
I ricercatori hanno anche scoperto che più famiglie hanno preso l’abitudine di portare notizie e informazioni dal mondo esterno nelle loro conversazioni a cena, offrendo potenzialmente ai bambini uno spazio sicuro in cui discutere di ansie e dubbi con i genitori. Allo stesso modo “l’uso continuato della tecnologia da remoto per connettersi con chi non è fisicamente presente può portare a continue opportunità di legame familiare e far sì che i bambini provino un senso di appartenenza a un’unità più grande, che sappiamo essere protettivo per il loro benessere”, conclude Fishel.
Quanto al resto delle attività casalinghe, l’altro studio entra nel merito considerando sia le abitudini di lavoro che quelle di svago, dati ricavati dall’American Time Use Survey, fotografia annuale di come gli americani trascorrono il loro tempo, in esecuzione dal 2003. Gli autori hanno esaminato il comportamento degli adulti da 17 anni in su e hanno raggruppato l’uso del tempo in 16 attività in casa dal sonno all’esercizio fisico, oltre a 12 attività fuori casa tra cui eventi artistici e sportivi, shopping, lavoro, appuntamenti religiosi. Separatamente, hanno analizzato i viaggi in auto, a piedi e sui mezzi pubblici. I risultati hanno mostrato che il tempo trascorso su 8 delle 12 attività fuori casa è diminuito dal 2019 al 2021, mentre 11 delle 16 attività domestiche sono aumentate. Il tempo medio per le attività fuori casa è sceso da 334 minuti al giorno nel 2019 a 271 nel 2021, all’incirca da 5,5 ore al giorno fuori casa a 4,5. Lo ‘smart working’ per gli autori spiega parte di questa tendenza, ma ci sono state grandi diminuzioni anche in altri usi del tempo fuori casa. La quota lontano dalle mura domestiche si è ripresa solo modestamente dopo la pandemia, rimbalzando di soli 11 minuti dal 2021 al 2023 (fino a 281). E la tendenza a uscire meno sembra reggere. Questo ‘ritiro in casa’ era in corso da almeno 16 anni prima della pandemia. Ma i cali delle attività fuori dal domicilio sono stati molto maggiori dopo la pandemia rispetto ai trend precedenti.