Se c’è una ragione nell’eseguire un’opera di W.A. Mozart, in un programma come quello del Festival dei 2Mondi di Spoleto, questa è senza dubbio legata al fatto che nella musica del genio salisburghese c’è scritto, materialmente e non, tutto ciò di cui si ha bisogno per la messa in scena dell’opera stessa.
Era tempo che una cosidetta “grande opera” non veniva rappresentata a Spoleto nell’era Ferrara, fatta eccezione per il Gianni Schicchi, di Giacomo Puccini con la regia di Woody Allen, a Spoleto52.
La scelta del Così fan tutte, terza ed ultima opera scritta da Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte, rappresenta una sorta di sfida di Giorgio Ferrara con la tradizione. Non c’è dubbio che nelle edizioni precedenti della gestione post-Menotti si era tentato più volte di divincolarsi da una eredità artistica che pesava in modo insostenibile. Alla fine forse il modo migliore di superare questa sorta di complesso di Edipo, mascherato o no, è affrontare la tradizione a viso aperto, senza complessi e con una buona dose di faccia tosta.
A Spoleto58 la messa in scena di Così fan tutte rappresenta una sorta di salto “senza rete”, dove ogni dettaglio della stessa potrà essere messo a nudo e impietosamente analizzato, tanti ormai sono i paragoni con cui confrontarsi, dal cast alle scene, dai costumi alla direzione d’orchestra, fino ad arrivare alla regia.
Tanto per cominciare allora, si è scelta una coproduzione, quella con il Teatro Coccia di Novara, blindando tutta la parte musicale che è stata affidata all’ Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, fondata da Riccardo Muti, ormai presenza costante al Festival, mercè Carla Fendi.
E quale migliore direttore d’orchestra, se non James Conlon, apprezzato e colto musicista protagonista dell’operazione Gianni Schicchi, habitué di successo del Festival.
E per non farsi mancare il colpo ad effetto, scene e costumi dei premi Oscar, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo.
Un solido Cast di cantanti, di esperti. Fiordiligi Francesca Dotto, Dorabella Ruxandra Donose, Guglielmo Rodion Pogossov, Ferrando Joel Prieto, Despina Marie McLaughlin, Don Alfonso Maurizio Muraro e infine l’ International Opera Choir del maestro Gea Garatti
Ma il famoso salto “senza rete”, nell’operazione Così fan tutte lo compie proprio Giorgio Ferrara che si intesta la regia.
L’opera – Brevemente, l’intera opera “buffa”, vale la pena di ricordarlo, seppure nel libretto viene definita Dramma Giocoso, è una lungo gioco di simmetrie musicali e sceniche giocate sul tema dello scambio di coppia. Guglielmo e Ferrando, tentati da un diabolico vecchio filosofo Don Alfonso, con l’aiuto dell’immancabile cameriera Despina, si prestano ad una sceneggiata En travesti per mettere alla prova la fedeltà delle amate Dorabella e Fiordiligi. Sul tema dello scambio di coppia come “verifica dei sentimenti”, c’è da rilevare che forse l’unico precedente letterario ravvisabile per analogia è quello dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Ora non sfugge a nessuno che Giorgio Ferrara fu giovanissimo aiuto regista di Luca Ronconi nella storica e celebrata rappresentazione dell’Orlando, proprio al Festival di Spoleto nel 1969. Se sia un caso, una coincidenza, o un atto voluto, o un omaggio allo scomparso Ronconi, lo può dire solo Ferrara, ma sta di fatto che cimentarsi nella regia di un grande classico operistico sul tema detto, appare più che una sfida.
La musica – James Conlon imbastisce una Overture con un tempo insolitamente morbido, non propriamente lento, ma quasi sospettoso, come a voler preannunciare, appunto, un diluvio di note imminente. Chi conosce l’opera mozartiana, sa che dopo Le nozze di Figaro e Don Giovanni, Così fan tutte rappresenta una sorta di rassemblement maturo dei temi e degli stati d’animo delle precedenti opere, frutto della collaborazione con Da Ponte. La musica dunque è un bellissimo, continuo alternarsi tra dolcezza a brio. In questo senso si può interpretare il crescendo della direzione di Conlon, seguito da una splendida orchestra Cherubini, dotata in alcuni passaggi di “friccicore” giovanile, ma sempre in grado di stare sulla partitura.
Le voci – Il cast dell’edizione festivaliera di Così fan tutte, si apprezza per il generale amalgama delle voci nei numerosi terzetti e duetti. Nelle arie svetta la personalità del potentissimo Don Alfonso, il basso Maurizio Muraro, vincitore al Lirico Sperimentale di Spoleto nel 1994, con una chiarissima dizione ed una sicurezza vocale a cui tutto il cast si aggrappa in più di una occasione. Un vero mattatore. Altrettanta sicurezza vocale ed eccellente fraseggio quella del baritono russo (anche se in origine nel ruolo era previsto per un basso), Rodion Pogossov nel ruolo di Guglielmo, solo a tratti un po’ troppo impostato, forse poco libero per causa di regia, ma con una invidiabile voce “in maschera”. Leggero, tranne quando si arrabbia nella cavatina “Tradito, schernito…”, il tenore Joel Prieto, Ferrando, che cresce nell’interpretazione solo al secondo atto, e che regala uno splendido duetto con Fiordiligi, “Fra gli amplessi in pochi istanti”.
Sicura e squillante, senza sbavature, anche lei dall’ottimo fraseggio, la soprano Francesca Dotto, che non indulge in smancerie e presenta al pubblico della prima il sensuale tormento di una Fiordiligi molto bella. Sicura e calcolatrice, come la parte vuole, con una decisa presenza scenica il mezzosoprano Ruxandra Donose, che solo in qualche raro momento fa sentire nella pronuncia la sua origine aprendo un po’ le vocali finali. Un peccato veniale che nulla toglie all’artista e alla sua bella voce.
Francamente non entusiasmante, e non se ne capisce fino in fondo la ragione, l’interpretazione della soprano Marie McLaughlin, la cameriera Despina. La McLaughlin ha un curriculum monumentale, e tutto imperniato su personaggi come appunto quello di Despina, che in Così fan Tutte ha un ruolo di assoluti rilievo. Una prestazione vocale, quella di Spoleto, a tratti in rincorsa con l’orchestra, con un recitato in alcuni casi incomprensibile nelle chiusure, lasciano un punto interrogativo sulla freschezza della voce che sarebbe necessaria per il ruolo intepretato. L’unico riscatto, quando Despina si traveste prima da Dottore e poi da Notaio, e come previsto l’inteprete deve scimmiottare rispettivamente, una voce impostata ed una simil-chioccia, strappando sorrisi al pubblico.
Le scene e i costumi – Se ne è parlato molto, come del valore aggiunto di questa prima e Giorgio Ferrara ne ha fatto un vanto in più di una occasione, lasciando così alta l’attesa per la creazione dei premi Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo.
La scena in cui si svolge l’opera spoletina, è una imponente vista prospettica di due palazzi affacciati su un golfo di Napoli (non il Golfo da cartolina per intenderci), dove galleggiano placidamente ormeggiati tre velieri. Sulla testa dei cantanti incombono due nuvoloni, molto belli per la verità, le cui funzioni sceniche hanno destato curiosità in più di uno spettatore. Inamovibili per tutta la durata dell’opera, davano alternativamente in più di una occasione, l’idea di un imminente intervento divino o l’incipiente precipitazione meteorica di fantozziana memoria. Più che nuvola dell’Impiegato, la nuvola del Cantante. Curioso il fatto che nella scena finale del finto pranzo di nozze i due cirronembi o cirrocumuli (mah, saperlo…), stazionano placidamente nella sala da pranzo con tanto di prezioso lampadario che sbuca dal cielo. Licenza poetica o meteorica?
I due palazzi sono di un bel rosso pompeiano, e delle enormi cornici girevoli diventano alternativamente persiane, nelle scene all’aperto, o arazzi con scene di amorini, in quelle al chiuso. E questo è quanto! Non ci sono cambi scena ma solo movimenti scenici con attrezzeria che modificano lo stato del luogo. Per 3 ore e 30!
I costumi di Francesca Lo Schiavo sono assolutamente rigorosi, filologicamente corretti. Rarefatti i cambi che per le protagoniste femminili non superano i 3-4. Un certo colore e simpatia, forse anche un po’ troppa, fuori luogo rispetto agli altri presenti in scena, la suscitano soltanto i costumi da “Valacchi o Turchi”, come cita nel dubbio Despina, che sono indossati da Ferrando e Guglielmo per travestirsi da principi albanesi. A qualche collega scappa la battuta “sembrano Pupi siciliani”, forse per via di una certa pettorina “corazzata” sotto le lunghe giacche. Don Alfonso indossa un frac per tutta la durata dell’opera, con una camicia dissonante, o forse solo astratta come vorrebbe Ferrara, con maniche con lo “sbuffo” ed un bavero vaporoso che ricade sul panciotto.
Nel complesso, fatte salve le inappuntabili Livree di 6 valletti che circolano per la scena con un fare da “voyeur”, una certa nostalgia per la fattura dei costumi di Piero Tosi ne Il Matrimonio segreto di Cimarosa a Spoleto56 ci è proprio venuta.
La regia – Giorgio Ferrara ne ha parlato abbondantemente nella conferenza stampa del 25 giugno. Per il direttore artistico del Festival, Mozart è matematica, e le sue opere “geometria”. L’operazione Così fan tutte, dunque, intende sottrarre orpelli e sovrastrutture del testo per privilegiare musica e canto e di pari passo, l’esecuzione orchestrale e la sua direzione. Tutto ciò che è trasposizione storica da fastidio al regista e per questo motivo, la narrazione filologica della scena e dei costumi non può che essere di matrice settecentesca. Seppure il regista chiede alla premiata ditta Ferretti-Lo Schiavo di non indulgere in tentazione e di creare qualcosa di molto prossimo all’astrazione, “Un contenitore”.
Ecco dunque spiegato il motivo delle nuvolone onnipresenti o del rarefatto movimento dei cantanti, i tagli geometrici nei movimenti di scena, e la necessità di una scenografia granitica, molto prossima ad un quadro dell’astrattista-metafisico Giorgio De Chirico. E così a forza di astrarre e sottrarre, si arriva ad un certo punto che il senso di asciutto, fa distogliere gli occhi dalla scena, fa concentrare il pubblico sul testo proiettato in alto da uno schermo apposito, lasciando che la musica ed il canto scorrano facendo il resto. Se questo è l’effetto voluto, e non ne siamo molto sicuri, allora bastava restare a casa ed ascoltare qualche stupenda registrazione dell’opera, delle tante che si trovano in commercio. Se invece Ferrara, implicitamente sembra dire “non curatevi di come o dove faccio muovere i cantanti, se fanno gag o mossette, se sono ben vestiti o se sono nudi”, allora non c’è dubbio che siamo difronte ad una riscrittura dell’opera, che nasce, senza equivoco, illuminista e non certamente “astratta”, ma sopratutto vede la luce ed ha un senso per lo stretto rapporto tra librettista e compositore, dove l’uno senza l’altro sono inevitabilmente un’altra cosa. E così anche senza mettere i cantanti in un Bar o all’ufficio postale, (come detto nella conferenza stampa del 25 giugno) Ferrara compie la stessa operazione di trasposizione (non temporale) tanto vituperata.
Ma Giorgio Ferrara ha il pregio della schiettezza professionale, e ciò che dice, fa! Non potevamo quindi aspettarci null’altro di quello che è andato in scena. Non dimentichiamo che la musica del Maestro Mozart è per molti prepotentemente terapeutica. E così tutte le ferite sono sanate alla chiusura di sipario.
(Foto Tuttoggi.info)
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