Coronavirus, Immuni attiva anche in Umbria: dove si scarica, come funziona, i punti deboli

Coronavirus, Immuni ora attiva anche in Umbria: dove si scarica, come funziona, i punti deboli

Redazione

Coronavirus, Immuni ora attiva anche in Umbria: dove si scarica, come funziona, i punti deboli

Dopo la sperimentazione in 4 regioni apportate modifiche: si rischia di creare allarmismo per "falsi positivi"
Lun, 15/06/2020 - 00:03

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Da oggi attiva anche in Umbria Immuni, la app sviluppata per allertare le persone venute in contatto con un soggetto risultato positivo al Coronavirus.

Dopo la sperimentazione avviata l’8 giugno in 4 regioni (Puglia, Liguria, Abruzzo, Marche) Immuni sarà operativa anche nel resto d’Italia.

Come si scarica la app Immuni

La app si scarica gratuitamente attraverso il sito immuni.italia.it. Immuni non raccoglie dati sensibili, come nome, cognome e data di nascita. Non viene registrato il numero di cellulare, né la mail. Non saranno indicati gli spostamenti fatti.

Non tutti gli smartphone riescono però a supportare la app.

Come funziona

Scaricare la app Immuni non è obbligatorio, ma è consigliato dal Ministero della Salute.

Come viene spiegato nel sito Immuni, a chi si è trovato a stretto contatto con un utente risultato positivo al virus del Covid-19, l’app invia una notifica che lo avverte del potenziale rischio di essere stato contagiato. Grazie all’uso della tecnologia Bluetooth Low Energy, questo avviene senza raccogliere dati sull’identità o la posizione dell’utente. La app, dunque, non fornirà indicazioni su chi è la persona positiva con cui si è venuti a contatto, ma solo che c’è stato un contatto con una persona contagiata dal Coronavirus (sempre che questa abbia autorizzato a comunicarlo).

Venendo informati tempestivamente, gli utenti possono contattare il proprio medico di medicina generale e ridurre così il rischio di complicanze.

L’esempio: Marco e Alice

Nel sito Immuni viene indicata una spiegazione semplificata di come funziona il sistema, prendendo due ipotetici utenti, Alice e Marco.

Una volta installata da Alice, l’app fa sì che il suo smartphone emetta continuativamente un segnale Bluetooth Low Energy che include un codice casuale. Lo stesso vale per Marco. Quando Alice si avvicina a Marco, gli smartphone dei due utenti registrano nella propria memoria il codice casuale dell’altro, tenendo quindi traccia di quel contatto. Registrano anche quanto è durato il contatto e a che distanza erano i due smartphone approssimativamente.

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I codici sono generati del tutto casualmente, senza contenere alcuna informazione sul dispositivo o l’utente. Inoltre, sono modificati diverse volte ogni ora, in modo da proteggere ulteriormente la privacy degli utenti.

Supponiamo che, successivamente, Marco risulti positivo al SARS-CoV-2. Con l’aiuto di un operatore sanitario, Marco potrà caricare su un server delle chiavi crittografiche dalle quali è possibile derivare i suoi codici casuali.

Per ogni utente, l’app scarica periodicamente dal server le nuove chiavi crittografiche inviate dagli utenti che sono risultati positivi al virus. L’app usa queste chiavi per derivare i loro codici casuali e controlla se qualcuno di quei codici corrisponde a quelli registrati nella memoria dello smartphone nei giorni precedenti. In questo caso, l’app di Alice troverà il codice casuale di Marco, verificherà se la durata e la distanza del contatto siano state tali da aver potuto causare un contagio e, se sì, avvertirà Alice.

Le modifiche alla app Immuni

Dopo la prima settimana di sperimentazione il Ministero della Salute ha chiesto di apportare alcune modifiche agli sviluppatori della Bending Spoons. Il rischio, infatti, è che il sistema possa mettere in preallerta persone venute a contatto con un positivo, ma ad una distanza tale da consentire il contagio. E l’indicazione di falsi positivi che si mettono in quarantena può assestare un duro colpo a un’economia che tenta di ripartire dopo il lockdown.

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Gli sviluppatori hanno quindi modificato l’algoritmo che calcola il rischio di contagio, sulla base di due parametri: la distanza del proprio smartphone da quello di un contagiato a meno di 2 metri ed il tempo di permanenza del contatto, superiore a 15 minuti.

Il sistema però, utilizza il bluetooth tra i cellulari. Che non calcola la distanza tra due cellulari, ma, approssivativamente il valore di attenuazione della connessione. Che può variare a seconda di dove si tenga il cellulare, ad esempio.

Gli altri punti deboli

Insomma, distanza e tempo, con il sistema bluetooth, sono calcolati in modo approssimativo. Ed il wi-fi, che consentirebbe maggiore precisione, non si può utilizzare per motivi di privacy.

L’altro punto debole del sistema è dato dal numero di coloro che hanno scaricato l’app, dato che farlo non è obbligatorio. Nella prima settimana di sperimentazione nelle quattro regioni l’app è stata scaricata da meno di 2 milioni e mezzo di italiani. Pochi, rispetto alla platea dei residenti. A cui vanno aggiunti coloro che si trovano in Italia per turismo o per motivi di lavoro.

Il sistema non può essere utilizzato da coloro che non hanno uno smartphone adeguato per supportare la app. E la platea, dunque, si riduce ulteriormente.

C’è poi il problema della responsabilità delle persone. Anche chi ha scaricato l’app ed è stato “allertato” per un possibile rischio contagio deve poi comunicarlo alle persone che sono venute a contatto con lui, come colleghi di lavoro e familiari.

C’è poi il tema della conferma sanitaria rispetto ai possibili “positivi digitali”. Il meccanismo presuppone che coloro che hanno ricevuto l’allert e si mettono in quarantena volontaria vengano poi sottoposti a tampone rapidamente dal sistema sanitario regionale.

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