La Cgil chiede di fermare a Perugia i test rapidi a pagamento di una clinica privata per scoprire la presenza di anticorpi al Coronavirus.
Un appello ascoltato, perché Prefettura e Regione, con l’invio di ispettori della Usl e carabinieri del Nas, hanno indotto la clinica perugina a fermare l’avvio dei test rapidi a pagamento. Chiudendo, almeno per il momento, una questione molto dibattuta a livello nazionale (aggiornamento 3 aprile ore 9).
“Non è pensabile che i test rapidi per il Coronavirus – accusa la Cgil dell’Umbria – vengano effettuati a pagamento in strutture private, senza alcun criterio di selezione se non quello del portafoglio dei clienti“.
Segnalazione a Regione e Prefettura
Il sindacato, dopo la notizia dell’iniziativa di una clinica privata di Perugia, ha interessato immediatamente Regione e Prefettura, che hanno convenuto sulla sua assoluta inopportunità.
Ragioni scientifiche ed etiche
“In primo luogo – sottolinea la Cgil – è la stessa comunità scientifica umbra ad affermare che l’utilizzo indiscriminato del test rapido su larga scala potrebbe comportare il venir meno delle misure di contenimento sociale, stabilite dal ministero ed essenziali per interrompere la trasmissione dell’infezione. Accanto a questo – continua il sindacato – c’è un’enorme questione etica, che in una fase come questa dovrebbe trattenere anche i più audaci dal fare soldi sulle paure e sulle fragilità delle persone”.
Del caso interessata Roma
“Ora – conclude la Cgil dell’Umbria, che ha anche interessato della vicenda la segreteria nazionale – vanno trovati gli strumenti per evitare che questa iniziativa possa effettivamente realizzarsi, senza rimpalli di responsabilità. In una situazione emergenziale per la salute pubblica, come è quella in essere, non possono esserci cedimenti. Si fermi questa iniziativa scellerata, si rimetta in mano pubblica la gestione dell’emergenza”.