La biodiversità conviene, e non soltanto come orizzonte etico per la salvezza dell’umanità e del pianeta così come lo conosciamo, ma in termini economici, basati sul rapporto fra costi e benefici. Salvaguardare e conservare, rinnovandola, la biodiversità, è, in ultima istanza, vantaggioso per le valenze economiche che se ne possono ricavare, e la biodiversità (intesa come diversità delle specie, differenza genetica e varietà degli ecosistemi) può rivelarsi un “business” estremamente vantaggioso, sia in termini economici che di ricaduta sociale per le comunità. Per tutto questo c’è già un nome: “biodiversity business”.
È quanto è emerso dalla conferenza internazionale, svoltasi oggi a Villa Fabri e al Teatro Clitunno di Trevi, dedicata a “Il valore economico della biodiversità”, promossa dalla Regione dell’Umbria, dall’Università degli Studi di Perugia e dalla Fondazione Villa Fabri, in cui ha sede l’Osservatorio regionale umbro per la biodiversità. I lavori sono stati introdotti da Paolo Papa per la Regione Umbria e dal professor Francesco Pennacchi dell’Università di Perugia.
“National manager” del WWF in Australia e Coordinatore del rapporto “Teeb” (“The Economics of Ecosystem & Biodiversity”), che raccoglie i risultati di anni di indagini da parte di oltre 500 ricercatori, sponsorizzati da aziende ed istituzioni pubbliche e private nel mondo, il professor Joshua Bishop ha sottolineato, nel suo “speech” di apertura, come “l’umanità viva oggi in un mondo, che ha quasi dimenticato la sua dipendenza dalla natura”. “Il rapporto ‘Teeb’ – ha continuato – ha come suo oggetto proprio questa sorta di ‘invisibilità’ della natura, e come porvi rimedio. Lo studio mostra come misurare benefici e costi della biodiversità e dei servizi ecosistemici, secondo parametri aziendali”. Un esempio? Ridurre la deforestazione del 50 per cento comporterebbe un valore di circa 3,7 trilioni di dollari dovuto alla riduzione dei danno dovuti al cambiamento climatico. Per non parlare dei danni ambientali, pari, nel 2008, a 6,6 trilioni di dollari e all’11 per cento del prodotto interno lordo, causati negli Stati Uniti dalla produzione industriale. Solitamente, si tratta di danni che non vengono considerati né tantomeno compensati, ma il cui effetto comincia ad essere preso in seria considerazione: “C’è – ha detto il professor Bishop – una coscienza crescente, anche da parte delle imprese, sulle questioni dell’ambiente, una crescente domanda per prodotti e servizi ‘verdi’, in molti settori produttivi, anche nuovi, come l’ecoturismo”.
“Il ‘business’ – ha proseguito Bishop – ha bisogno di indicatori economici certi, di strumenti per il ‘management’ della biodiversità, di politiche ambientali che siano ‘market friendly’, amiche del mercato”. Quindi: riduzione di costi e di tasse, individuazione di nuovi flussi finanziari, e la necessità di tradurre gli esperimenti in “marketable assets”, in risorse commercializzabili.
Il problema di definire adeguati indicatori per determinare il valore economico della biodiversità è stato al centro degli interventi degli altri relatori. Quali sono i benefici – si è chiesto Tiziano Tempesta dell’Università di Padova – di un paesaggio biodiverso? Senz’altro il miglioramento del benessere di chi ci abita. Il valore della biodiversità – hanno detto Luis Cassar ed Elisabeth Conrad dell’Università di Malta – va valutato non soltanto in termini strettamente economici, ma anche attraverso i molteplici indicatori non utilitaristici degli ecosistemi e dei servizi.
“L’Italia è in forte ritardo – ha affermato Laura Pettiti della Direzione del Ministero dell’Ambiente – rispetto all’agenda europea per la conservazione degli ‘habitat’, per cui è strategica, in questo momento, l’individuazione da parte delle Regioni e delle Province Autonome l’individuazione delle misure di conservazione”.
“La strategia ambientale dell’Unione Europea per il 2020 – ha detto Katarzyna Biala dell’Agenzia Europea per l’Ambiente di Copenhagen – si basa sullo sviluppo di un quadro integrato per il monitoraggio, la definizione e la costante comunicazione dei risultati, e gli indicatori aggiornati sulla biodiversità devono essere parte essenziale di questo processo”.