Peso reale del fisco al 53,2% del Pil, aumento della pressione fiscale del 5% dal 2000 al 2013, con contemporanea diminuzione del 7% del Pil pro capite: sono questi i “freschi” numeri dell’Ufficio Studi Confcommercio nazionale che attribuiscono all’Italia il ben poco invidiabile record della più alta pressione fiscale al mondo.
E in questo contesto generale, quanto a pressione fiscale l’Umbria, i suoi cittadini e imprenditori, come sono messi? Tutt’altro che bene, secondo quanto emerge dallo studio “Le entrate tributarie dei Comuni italiani dal 2007 al 2012: crisi economica, federalismo e Mezzogiorno”*, appena pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della SVIMEZ.
Nel 2012, infatti, a fronte di un reddito di 23.773 euro, ogni umbro ha versato in media alle casse del proprio Comune 608,2 euro annui, con una pressione fiscale (intesa come rapporto tra entrate tributarie e PIL) pari al 2,6%.
Tanto per fare qualche paragone, i cittadini del Veneto, con oltre 29 mila euro di reddito di media, ne hanno versati 532 (pressione fiscale pari all’1,8%); quelli della Lombardia, con 33.400 euro di reddito, hanno versato 591 euro (pressione fiscale pari all’1,8%); quelli delle Marche, con un reddito medio di 25.866 euro, hanno pagato 574 euro (pressione fiscale pari al 2,2%).
Il dato che colpisce maggiormente è tuttavia il confronto con l’anno 2007: a fronte di un reddito di 24.976 euro, quindi più alto di ben 1.203 euro rispetto al 2012, i cittadini umbri versavano ai Comuni mediamente 375,7 euro, con una pressione fiscale dell’1,5%.
In cinque anni, dunque, il reddito medio degli umbri è diminuito del 4,8%, il rapporto tra entrate tributarie e PIL è cresciuto di un punto e le somme versate in tasse ai Comuni sono aumentate in media del 62%.
“Stiamo sostenendo da anni che il peso della tassazione in genere e di quella locale nello specifico – commenta Aldo Amoni, presidente Confcommercio dell’Umbria – è il vero snodo per la ripresa della nostra economia e per dare fiato a famiglie e imprese. Siamo consapevoli delle difficoltà dei Comuni a far quadrare i bilanci, ma aumentare progressivamente le tasse, come è stato fatto, è una spirale perversa, che uccide economia e consumi. Che uccide le imprese. Ora abbiamo di fronte altre stangate con Tari e Tasi: con alcuni Comuni abbiamo avviato un proficuo confronto, che ha già portato a impegni concreti in termini di riduzione della aliquote per le imprese più colpite. Ma non basta: sono soprattutto i Comuni più grandi che devono dare il buon esempio con un segnale chiaro di discontinuità rispetto a quella che sembra una escalation inarrestabile. Abbassare le tasse è possibile, e dove diminuisce l’imposizione fiscale cresce il Pil. Per questo facciamo nostre le richieste ribadite ieri dal presidente nazionale Confcommercio Carlo Sangalli chiedendo al Governo e alle istituzioni locali una revisione dell’attuale struttura dell’Irpef, riducendo le aliquote di imposta per imprese e lavoratori; la deducibilità totale dell’IMU sugli immobili delle imprese, come negozi e alberghi; l’esclusione degli immobili strumentali dalla Tasi; la revisione della Tari, in base al principio del “chi inquina paga””.
In generale l’andamento della pressione fiscale presenta forti differenze regionali: l’ltalia è spaccata in due, Nord-Sud, ovvero più le realtà sono povere più alto è il peso del fisco. In assoluto nel 2012 la pressione fiscale più alta spetta ai Comuni liguri e campani, con un valore pari a 3,3%, seguiti dai pugliesi (3,1%), calabresi (3%), lucani (2,9%), abruzzesi (2,7%); Umbria, come abbiamo visto, Lazio e Molise registrano una pressione fiscale del 2,6%, Toscana e Piemonte del 2,3%. Comuni più virtuosi in Lombardia e Veneto, con una pressione fiscale ferma all’1,8%. A livello di cassa, i Comuni più esosi restano in Liguria: nel 2007 ogni ligure in media ha versato quasi 600 euro annue al proprio Comune di residenza, schizzate a quasi 900 nel 2012, seguiti da Emilia Romagna (481 euro), Lazio (450), Toscana (447) e Piemonte (419).
La tendenza italiana insomma è quasi paradossale, e l’Umbria ne è la conferma: i più ricchi riducono i tributi, chi si impoverisce li aumenta. L’arretramento nella ricchezza fa pendant con una esplosione esponenziale delle tasse, mentre in presenza di una maggiore ricchezza diffusa si possono abbassare le aliquote e ridurre così la pressione fiscale. Non solo: chi è più povero paga di più i servizi.
E teniamo presente che i dati disponibili sono fermi al 2012: nel 2013 la situazione è certamente peggiorata. A questo si aggiunge poi il fatto che negli ultimi anni le entrate tributarie comunali si sono essenzialmente concentrate sull’addizionale Irpef, ICI/IMU e TARSU, la tassa sui rifiuti. Però, mentre nel periodo 2007-2012 il Nord ha saputo differenziare, orientando il gettito su fonti diverse, lo stesso non vale per le altre regioni, Umbria compresa. A Nord l’ICI/IMU è crollata addirittura del 39%.
* Condotto su dati SIOPE e del Ministero delle Finanze, lo studio analizza l’andamento delle entrate tributarie dei Comuni e della pressione fiscale dal 2007 (anno antecedente l’esclusione dell’ICI dalle prime case da parte del Governo Berlusconi) al 2012 (anno in cui il Governo Monti reintroduce l’IMU) nelle diverse regioni a statuto ordinario.