Non si attenuta la bufera intorno alla nomina del primario di chirurgia dell’ospedale di Spoleto, concorso gestito a dir poco male a leggere la clamorosa sentenza del Tar dell’Umbria che ieri l’altro ha evidenziato la marea di ‘incongruenze’ che potrebbero addirittura inficiarne l’esito finale.
Caso al ministro Lorenzin – l’esponente del Ncd Massimo Monni ha fatto intanto sapere a Tuttoggi.info di aver predisposto un dossier che sarà a breve inviato al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, mentre la Giunta del sindaco Cardarelli ha dato mandato ai propri consulenti di valutare un eventuale esposto alla Procura della Repubblica di Spoleto e a quella della Corte dei Conti dell’Umbria.
“Questo concorso merita di essere approfondito in ogni suo aspetto, avevamo già ragionevoli dubbi, la sentenza del Tar non fa che avvalorarli” sostiene Monni “l’occasione per parlarne con il ministro sarà il prossimo 27 agosto a margine della direzione del partito”. Sul tavolo resta anche la richiesta di dimissioni del d.g. Fratini, avanzata dal primo cittadino di Spoleto e avallata dai due capigruppo della maggioranza, Zefferino Monini (Rinnovamento) e Gianluca Speranza (Spoleto Popolare).
La lettera del legale – intanto sulla sentenza del Tar dell’Umbria interviene l’avvocato della Asl2, Lietta Calzoni. Leggiamola. “In qualità di difensore dell’A.U.S.L. Umbria 2 nel giudizio intentato dal Dr. Alberto Patriti dinanzi al TAR Umbria in relazione al concorso per l’affidamento dell’incarico di Direttore della Struttura Complessa (il c.d. primario) di Chirurgia dell’Ospedale di Spoleto, ritengo doveroso intervenire in merito agli articoli pubblicati su “Il Messaggero” del giorno 6 agosto, in cronaca di Spoleto, e sul quotidiano online “Tuttoggi”, i quali commentano con toni sensazionalistici la sentenza del TAR Umbria pubblicata il 4 agosto scorso. La polemica alimentata a mezzo stampa risulta inesatta dal punto di vista strettamente tecnico-giuridico e strumentale nel merito poiché imputa alla Direzione dell’Azienda U.S.L. Umbria 2 decisioni di carattere processuale, e quindi di esclusiva competenza del difensore. Tanto è vero che, per illustrare i fatti debbo, mio malgrado ma necessariamente, scendere in qualche tecnicalità un po’ ostica per i non addetti ai lavori, ma indispensabile per ristabilire la verità dei fatti. All’indomani della proposizione del ricorso, la Direzione Aziendale ha ritenuto di resistere in giudizio, essendo persuasa della legittimità degli atti adottati. Una commissione giudicatrice esterna ha valutato i candidati (curriculum e prova orale) ed ha assegnato a ciascuno di loro un punteggio. Si è così formata una graduatoria e il Direttore Generale, pur potendo scegliere entro una terna costituita dai primi tre classificati, come consente l’art. 15, comma 7-bis, lett. b) del D. Lgs. n. 502/1992, ha preferito affidare l’incarico al primo classificato, sostanzialmente attenendosi alla valutazione di una commissione di esperti. Il Dr. Patriti, classificatosi al quinto posto e quindi fuori dalla terna, ha deciso di impugnare gli atti della procedura concorsuale. Era nel suo pieno diritto farlo, così come era nel suo pieno diritto rinunciare al ricorso.
Dunque, il Dr. Patriti ha ritualmente notificato all’A.U.S.L. Umbria 2 e al Dr. Castagnoli una dichiarazione di rinuncia “ai sensi e per gli effetti dell’art. 84 c.p.a.”. Si tratta di una norma del codice del processo amministrativo, che dispone, testualmente:“il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti”, facendo comunque salvo il potere del collegio giudicante di compensare le spese tra le parti, avuto riguardo “a ogni circostanza”, che generalmente si riferisce all’accordo fra le parti in ordine alla compensazione delle spese (nel senso che ciascuna parte provvede al pagamento del proprio avvocato e delle spese legali affrontate). In questo caso, nessun accordo era intercorso fra le parti né fra i loro rispettivi difensori. Di conseguenza, all’udienza del 24 giugno 2015, attenendomi rigorosamente e doverosamente alle disposizioni dell’art. 84 del codice del processo amministrativo, mi sono limitata a chiedere la condanna alle spese di lite, ma assolutamente non la pronuncia sulla soccombenza virtuale, come risulta dal relativo verbale dell’udienza. Si tratta di una scelta di carattere puramente tecnico della quale assumo appieno la paternità e la responsabilità, che non coinvolge in alcun modo i vertici aziendali, e che non aveva assolutamente lo scopo di infierire sul ricorrente, quanto piuttosto sottintendeva che non vi era stato alcun accordo fra le parti. Del resto, la difesa dell’ente pubblico impone ogni doverosa cautela da parte del professionista al fine di evitare delicati risvolti di carattere amministrativo-contabile. Il TAR, nella sua ampia discrezionalità, ha viceversa ritenuto di pronunciarsi sulla soccombenza virtuale del ricorrente ed ha ritenuto il ricorso “non manifestamente infondato”. Il che non significa che abbia accolto il ricorso: ha semplicemente effettuato una valutazione sommaria delle censure proposte dal Dr. Patriti, senza tuttavia alcuna definitiva pronuncia in ordine alla loro fondatezza, cosa che sarebbe stata possibile soltanto in pienezza di contraddittorio fr a le parti in causa, mentre invece, per quanto mi riguarda, avevo ritenuto perfettamente inutile, a fronte della rinuncia al ricorso, sfoderare difese oramai divenute superflue vista l’imminente estinzione del giudizio. In conclusione, affermare che il ricorso “non è manifestamente infondato” ed affermare che è “fondato e quindi accolto” non è assolutamente la stessa cosa. Non si tratta di sofismi o di dissertazioni accademiche, ma di ben precisi concetti giuridici. In ogni caso, sto valutando i rimedi esperibili avverso la sentenza del TAR al fine di tutelare l’Azienda da me assistita. Dato l’enorme risalto attribuito alla vicenda dagli organi di stampa, chiedo che questa mia venga pubblicata integralmente, se non altro per evidenti ragioni di simmetria e di equilibrio tra posizioni contrapposte”.
Prendiamo atto delle ragioni dell’avvocato Calzoni, salvo dover puntualizzare che il “tono sensazionalistico” scaturisce esclusivamente dai contenuti della stessa sentenza che getta più di un’ombra sull’operato della Commissione esaminatrice ma, a voler ben vedere, anche su quello dell’Azienda cui sono sfuggite le “considerevoli incongruenze” (copyright Tar dell’Umbria) essendo, come ribadito dallo stesso legale, “persuasa della legittimità degli atti adottati”. Chissà che magari, se solo si fosse guardato meglio al procedimento concorsuale espletato e al relativo provvedimento emesso dalla Commissione, la stessa Asl sarebbe potuta intervenire in altra maniera evitando così le tante legittime (e a questo punto fondate) polemiche che hanno accompagnato la vicenda. Infine, ma non da ultimo, queste colonne non hanno in alcun modo scritto, né lasciato intendere, che il ricorso del dottor Patriti fosse “fondato e quindi accolto”.
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