E’ il 13 novembre del 2015, quando un commando armato legato all’Isis irrompe nel teatro Bataclan di Parigi e scatena l’inferno: 89 le persone che restano uccise quella sera, mentre negli stessi istanti, allo Stade de France, dove si stava disputando l’amichevole tra Francia e Germania, alcune esplosioni feriscono 11 persone. Ognuno di noi ha negli occhi il ricordo di quegli attimi concitati, di terrore e dolore. Per Davide Grasso, filosofo e giornalista freelance, quegli stessi frame hanno significato molto di più: “con quella strage, i miliziani del sedicente Stato Islamico hanno deciso di sanzionare chi, come me e tanti altri giovani in Europa, ascolta della musica, vive divertendosi tra amici, beve, fuma, va ad un concerto di musica rock”.
E’ così che Davide Grasso, a 36 anni, decide di sposare la causa della libertà curda e del popolo siriano, contro gli stessi miliziani che già in Siria calpestano le libertà di donne, uomini e bambini. Intraprende un viaggio in alcuni paesi del Medio Oriente e dopo essere stato in Palestina e nel Kurdistan iracheno, si sposta in Rojava, nella Siria del nord, dove in questo momento è in atto una rivoluzione sociale e culturale. In Rojava decide di unirsi alle truppe YPG, l’Unità di Protezione Popolare a maggioranza curda, e di impegnarsi in prima linea nella guerra contro l’Isis, nelle Forze Siriane Democratiche, dove combattono anche arabi e cristiani.
Di origine piemontese, Davide Grasso ha studiato Filosofia a Torino, Parigi e New York. Nella città della Mole Antonelliana ha conseguito il titolo di dottore di ricerca, sempre in Filosofia. Sensibile alla difesa delle libertà dei popoli, è in questi giorni impegnato in diversi incontri in tutta Italia, attraverso i quali racconta la sua esperienza tra le fila del’YPG. La sua storia farà tappa anche a Perugia: se ne parlerà il 28 marzo, alle 18, nei locali del Nuovo Cinema Méliès, in via della Viola. L’incontro è organizzato da Lautoradio, Circolo Island, Spazio Popolare ‘RudeGrifo’ e da “Perugia non si vende”.
“Già prima degli attentati al Bataclan, avevo molta apprensione per quanto accadeva a Kobane”, dove nell’ottobre del 2014 l’Isis riuscì a imporre il proprio dominio spietato su 350 villaggi e città curde, provocando un’ondata di circa 300mila sfollati. Un male che si aggiungeva alla situazione precaria vissuta dagli abitanti di quella zona già sotto il regime degli Assad in Siria. “Ero già stato in Medio Oriente: avevo visitato la Turchia, avevo intervistato centinaia di persone per il mio reportage. Avevo ascoltato la voce dei profughi iracheni, toccando anche la Palestina prima di arrivare in Siria. Ho potuto vedere da vicino come la situazione non fosse quella che i media occidentali ci descrivono”.
La scelta di combattere al fianco dell’YPG, a costo della sua stessa vita, è il frutto del credo in ideali forti, che con lui hanno deciso di sposare anche altre persone: danesi, australiani, inglesi. Davide Grasso ha visto da vicino l’odio dei tagliagole, che seguono la logica spietata del fondamentalismo islamico e impongono oppressione a tutti i livelli. Tra le fila dell’YPG, sono tante le donne che imbracciano le armi e decidono di attuare una resistenza civile senza quartiere. Davide, mentre racconta la sua esperienza a TuttOggi, parla degli orrori del califfato, dell’urgenza di liberare le donne, i bambini e la popolazione siriana tutta dalla dittatura.
Così come racconta la situazione ad Aleppo: “ad Aleppo l’Isis non c’era più da tempo. Ciò che deve essere chiaro e che qui in Europa non arriva è il fatto che in Siria non c’è solo l’Isis. Il paese è invaso da gruppi di fondamentalisti, che vogliono riportare il paese a 13 secoli fa. A nord di Aleppo ci sono le forze di resistenza, mentre i quartieri orientali erano roccaforte di una ‘rivoluzione al contrario’, dove spadroneggiano gruppi di tagliagole. Oggi per fortuna sono stati cacciati”.
Davide ha le idee chiare e la sua lettura non esula dalle responsabilità che, a suo avviso, hanno i governi dell’Unione Europea: “l’Italia, come gli altri paesi occidentali, dovrebbero interrompere ogni genere di rapporto con Turchia e Arabia Saudita. Questi governi hanno fomentato la lotta armata islamista contro Assad, e gli islamisti che stanno attaccando ora Damasco sono foraggiati proprio dall’Arabia Saudita”. La soluzione alla guerra e alla fine degli attacchi dell’Isis anche in Europa per Davide deve avere una chiara sfumatura politica, non solo strategica. Gli abbiamo chiesto di fornirci una lettura di quanto accaduto a Londra, con l’attentato a Westminster, e delle quattro ordinanze di custodia cautelare emesse nei giorni scorsi dalla Procura di Perugia, dopo la scoperta, con l’Operazione Da’Wa, di una cellula terroristica tra Perugia, Milano e la Germania. “Gli attentati in Europa vedono l’emergere di un problema sociale: viviamo in città con dei centri luccicanti e pieni di benessere, che si alternano a periferie degradate. Lo stato islamico fa appello a tutto il mondo in maniera sconsiderata, cercando di fare proseliti. Queste persone sono in preda alla demenza più totale. Ma è molto ipocrita il fatto che le autorità dicono di fare prevenzione: perché non possiamo continuare a fare accordi e ad avere rapporti con paesi, ad esempio, come la Turchia, perché la retorica di Erdogan è sbagliata”.
Ciò che resta, forte e indelebile nel racconto di Davide, è il lato umano della vicenda: “ho perso molte persone in battaglia. La guerra ha un volto amaro, ma tanto si sarebbe potuto fare per evitare che quelle stesse persone morissero. Basti pensare che la Siria del Nord è sotto embargo da un punto di vista sanitario. La cosa che più mi ha lacerato umanamente, e che è impossibile trasmettere, è che lì la vita non vale niente. Anche solo quanto accade a profughi e civili. Non ci sono immagini per descrivere”.
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