Cinghiali, cacciatori “ausiliari” per l’ambiente sano e produttivo, protagonisti della gestione dei conflitti faunistici. ArciCaccia Umbria chiama le associazioni venatorie a contribuire a ricomporre lo scontro culturale tra l’approccio “urbano” e la vita nelle campagne, le tradizioni, gli insediamenti nei borghi, nei piccoli paesi e in territori marginali.
“L’esperienza della pandemia – afferma il presidente di CarciCaccia Umbria, Emanuele Bennati – spinge a livello mondiale, a migrazioni verso realtà rurali ove la densità delle popolazioni favoriscono un distanziamento preventivo naturale. Occorre essere pronti ad accogliere e ad educare i ‘migranti’ alle problematiche di gestione del territorio e, nel nostro specifico, alla gestione faunistica, alla predazione tra le specie selvatiche e al ruolo insostituibile dell’uomo ad assicurare equilibrio e convivenza tra le specie”.
“Come per tutto il volontariato – prosegue Bennati – occorre separare la giusta passione popolare dei cacciatori e delle loro tradizioni venatorie che fanno e faranno capo agli Atc, dagli interventi di controllo faunistico che non possono che avere come riferimento l’intero territorio agro-silvo-pastorale regionale, così da tenere a ‘giusta distanza’ dai centri urbani gli ungulati, oggi in particolare la specie cinghiale, che può trasmettere contagi pericolosi per altre specie, rischi per la sicurezza stradale e ingenti danni all’agricoltura”.
“Senza una figura qualificata del cacciatore in grado di intervenire per ripristinare gli squilibri faunistici di molte specie – prosegue Bennati – queste peseranno sempre di più anche sulle tasche di tutti i cittadini in quanto la fauna selvatica rimane comunque patrimonio indisponibile dello stato. Serve riconoscere la figura dell’operatore faunistico’, colui che, munito di abilitazione all’esercizio venatorio, formato con adeguate competenze tecniche e regolarmente iscritto ad un ‘albo’ è autorizzato a rimuovere le fonti del conflitto faunistico”.
I principali fruitori di questo servizio faunistico dovrebbero essere gli imprenditori agricoli che subiscono i danni. Anche a loro – secondo ArciCaccia – devono essere assegnate precise competenze come “attrezzare” il loro territorio con appostamenti, altane, percorsi pedonali e carrabili per rendere efficaci gli interventi. I mezzi e le tecniche degli interventi andranno calibrati in base ai territori.
“Le carni dei capi prelevati – prosegue Bennati – andranno indirizzate a centri di raccolta con lo scopo di valorizzarne l’uso per un mercato sano e di qualità. Percorso di valorizzazione a fini alimentari già avviato dalla Fondazione UNA cui aderiscono anche le Associazioni venatorie nazionali: FIdC, Enalcaccia, ARCI Caccia, CNCN che ha permesso alcune iniziative sperimentate in altre regioni, non appropriatamente divulgate per le contraddizioni di altre associazioni venatorie che, alla prospettiva di un ruolo qualificato, affidato anche a cacciatori, preferiscono la lotta delle tessere per la sopravvivenza”.
ArciCaccia dell’Umbria ritiene che la sintesi di queste proposte, già presentate e rimaste negli archivi, debbano ora trovare concreta applicazione. “Saranno temi che rilanceremo anche nel nostro Congresso – preannuncia il presidente Bennati – perché diventino patrimonio del mondo venatorio che dovrà superare logiche integraliste e corporative che hanno già perso e stanno estinguendo i cacciatori e la loro funzione sociale”.