Selezione al cinghiale, Federcaccia all’attacco di Morroni. L’associazione venatoria mette nel mirino l’assessore regionale, giudicato “molto impegnato a seguire indicazioni fuori campo e a disprezzare continuamente il mondo venatorio che in fatto di competenza in materia non è secondo a nessuno”.
Ma lo scontro si consuma sulla specie cinghiale inserita nel regolamento della caccia di selezione. Nonostante il parere contrario, almeno sulla base della bozza del regolamento portata in Commissione, delle associazioni venatorie, oltre al Coordinamento delle squadre cinghialiste.
“Federcaccia Umbria – premette l’associazione – non nutre alcun pregiudizio nei confronti di qualsiasi forma di prelievo venatorio, a patto che esso sia sostenibile, regolamentato e inserito in un più ampio quadro generale sia sotto l’aspetto amministrativo che scientifico”.
Diversi i dubbi di Federaccia, che chiedeva infatti una modifica del regolamento.
La prima è la possibilità di prevedere non più soltanto cacciatori abilitati, vale a dire formati dall’ente regionale o da un suo ramo di secondo livello, ma anche altri cacciatori, purché accompagnati da almeno uno abilitato. “Ciò significa, in parole povere – commenta l’associazione – aprire le porte alla compravendita illegale della caccia al cinghiale in forma selettiva, consentendo al cacciatore abilitato di condurre con sé uno inesperto e ‘coprirgli’ l’abbattimento grazie alla propria, semplice presenza. Roba da Far West e, soprattutto, roba da ricchi che non hanno voglia di seguire le regole e studiare, come invece è giusto fare e come deve fare ciascuno di noi prima di imbracciare una carabina dotata di ottica di precisione”.
Non è piaciuto, poi, l’attacco fatto dall’assessore nell’ultima riunione in Commissione nei confronti della braccata. Vale a dire della pratica venatoria più diffusa relativamente alla specie cinghiale, “perché più efficace e redditizia, che consente, ogni anno, – ricorda Federcaccia – di abbattere circa 18 mila capi sul territorio regionale adibito a caccia programmata, vale a dire ad eccezione di parchi, oasi e terreni demaniali, divenuti ormai dei veri e propri porcili a cielo aperto per questa specie prolifica e invasiva”.
Per Morroni proprio la braccata avrebbe peggiorato le cose relativamente alla specie, consentendole di proliferare indiscriminatamente. Una “follia”, secondo Federcaccia. Come i presunti “dati scientifici” su cui Morroni dice di basare questa convinzione.
“Vogliamo ancora concedere all’assessore – scrive Federcaccia – il beneficio della buonafede, imputandogli solamente della genuina incompetenza e ignoranza in materia venatoria. Questo perché chiunque conosca un minimo il nostro mondo sa bene che ogni strumento di prelievo presenta delle caratteristiche ben definite, e che gli effetti della braccata, dal punto di vista numerico, sono infinitamente superiori a quelli della selezione. La quale, tuttavia, ricopre un ruolo importantissimo se utilizzata in alcune aree e in alcuni periodi specifici”.
Ecco perché, in un’ottica di sostenibilità e convivenza pacifica di tutti i portatori di interesse, Federcaccia chiede un piano di gestione della specie cinghiale che delinei gli obiettivi a breve e medio termine, definisca le varie tipologie di aree cacciabili (“perché il Trasimeno non può essere considerato alla stesa stregua degli Appennini”) e che stabilisca le forme di prelievo esercitabili in ciascuna delle tipologie di aree, in un’ottica di complementarietà e non di inutili dualismi.
E questa è il terzo punto su cui Federcaccia attacca l’assessore “competente” (le virgolette sono dell’associazione). Accusato di non vedersi dedicare a tale regolamento generale, “preferendo provvedimenti spot che non lasciano neanche il tempo che trovano, senza contribuire minimamente alla risoluzione del problema cinghiale”. E soprattutto “disprezzando senza alcun motivo gli sforzi dei cacciatori umbri”. Che fino ad oggi, ricordano, si sono impegnati volontariamente anche in interventi di prevenzione e che, come ogni anno, continuano a versare nelle casse della Regione oltre 2 milioni di euro per le sole tasse di concessione regionale.
Il cinghiale resta ancora il grande nodo della caccia in Umbria. Che rischia anche di dividere tra loro i cacciatori. Tant’è che nella bozza del nuovo Calendario venatorio che sarà discusso in Consulta l’11 marzo non sono state indicate le per il cinghiale.