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Inchiesta ceneri e rifiuti, esperti riferiscono in Regione “territorio stravolto, analisi su pesce e grano”

Chiarezza, prima di tutto. Parole d’ordine per la terza Commissione, riunitasi nel pomeriggio di ieri a Palazzo Cesaroni, per snocciolare, punto per punto, quanto è accaduto in questi decenni nella zona del Valnestore. E prova a farla partendo dalla “puntuale e approfondita inchiesta giornalistica” che ha deciso di puntare i riflettori sulla vicenda. “Una situazione nota a tanti cittadini della zona“, come il consigliere regionale Marco Squarta (FdI) ha giustificato la convocazione della Commissione e il suo ordine del giorno. La recente segnalazione di un privato cittadino diviene così l’ultima delle voci che chiedono che sia fatta chiarezza. Il resto è storia recente: dopo la denuncia, sul sito si presentano Arpa (motu propriu), Corpo Forestale dello Stato, Carabinieri di Panicale. E non sarebbe finita qui, perché proprio questi ultimi hanno chiesto l’intervento del Noe.

I primi a parlare ieri sono stati i sindaci dei paesi interessati: quello di Piegaro, Roberto Ferricelli, e quello di Panicale, Giulio Cherubini.  I primi cittadini hanno preso in mano la situazione e si rapporteranno, il prossimo 14 aprile, con il tavolo appositamente predisposto con il Centro tumori.

La loro è la testimonianza di una cittadinanza, incontratasi ieri sera per una prima assemblea pubblica alla proloco di Pietrafitta, preoccupata per la sorte della propria salute, per i rapporti di causalità tra ceneri, rifiuti e malattie. La stessa causalità di cui la dottoressa Donatella Giaimo, medico della zona intervenuta ieri in audizione, ha voluto escludere, almeno per il momento, perché “la patologia tumorale impiega tra i 20 e i 30 anni a manifestarsi. Sommessamente – ha detto Giaimo – dico che non si muore di rifiuti solidi urbani, bensì di radioattività”. Non basta dunque accertarsi che sono 5 le patologie tumorali più frequenti in Umbria, né basta la “georeferenziazione”, che dunque garantirebbe la possibilità di stabilire la provenienza delle persone ammalate. “Bisogna invece fare riferimento – ha detto oggi Giaimo – ai singoli casi di tumore: queste persone potrebbero essere state esposte professionalmente ad altri agenti o aver vissuto altrove per molto tempo della loro vita. Attraverso lo studio del registro dei tumori in Umbria possiamo fare un’analisi prospettica più approfondita. Ma non siamo comunque di fronte a neoplasie, come per l’amianto. Siamo di fronte a morte per patologie tumorali comuni”.

Terra di ceneri e rifiuti, inchiesta in Valnestore | Dati tumori sospetti

Quella snocciolata ieri in Commissione è la storia di un territorio cambiato, modificato, con i profili di colline, strade e campi arrotondati e smussati per anni, alterati per l’escavazione di lignite e per gli stoccaggi della cenere. La lignite della vecchia centrale – ha detto il direttore generale dell’Arpa Umbria, Walter Ganapini – non costituisce di per sé un problema, quello che preoccupa è la possibilità di eventuali interfaccia nello scarico di questi materiali, ad esempio Enel ha chiesto alla Croazia di individuare siti idonei. Quindi non si può escludere la possibilità che composti con attività radioattiva possano essere migrati nelle falde, ma questo deve essere verificato”.

Di questo riferisce anche la dirigente Passeri, dell’Arpa: usa delle planimetrie e delle foto per mostrare ai consiglieri come la Valnestore sia cambiata dal 1954 a oggi, quando ancora la centrale di Pietrafitta, costruita “a bocca di miniera“, non era stata edificata. Sono 4 i milioni di metri cubi di cenere prodotti, tra pesanti e leggere, dalla centrale. “Una parte di esse è confluita nei cementifici umbri, altra è rimasta nel territorio di Piegaro. E altra ancora è andata a finire nei sottofondi stradali”, ha detto Passeri. “Anche gli argini di alcuni dei laghetti a Pietrafitta sono costituiti da cenere. Come Arpa, ci stiamo preoccupando di che tipo di impatto stanno avendo e hanno avuto sul territorio queste ceneri“. E ciò che potrebbe complicare la situazione, in caso di riscontri positivi alle analisi, è il fatto che quelle ceneri erano considerate dai contadini, nei decenni scorsi, come fertilizzante a costo zero. La quantità di ceneri proveniente da La Spezia, poi, sarebbe inferiore: si sa che è stata utilizzata nella zona industriale Eco Tass e per il campo sportivo di Città della Pieve.

Le ceneri ad oggi continuano ad essere ben visibili: anche gli argini dei laghi artificiali della zona ne sono la testimonianza. Arpa ha dunque effettuato diversi campionamenti: prelievi sono stati fatti nelle acque dei laghetti nella zona di Pietrafitta, ad un pozzo, in una coltivazione di grano nato sopra la cenere. Verranno poi effettuate delle analisi sui pesci dei laghetti. In cassa, dalla Regione Umbria, ci sono 50mila euro per i controlli e le ricerche che Arpa, in collaborazione con l’Università di Perugia, stanno eseguendo. Quello che i tecnici andranno a cercare, sulla falsa riga di quanto accaduto a Fabro, è il grado di cessione delle ceneri: se e quanto dunque queste ceneri rilasciano a contatto con l’acqua. Si tratta di analisi non semplici, i cui risultati richiederanno tra le due e le tre settimane.

C’è poi la faccenda rifiuti: perché, laddove nella terra si creano piccole faglie, frane e smottamenti, dalla cenere escono i segni dell'”inciviltà umana“, come li ha definiti il consigliere Attilio Solinas. Rifiuti che probabilmente saranno lì anche dagli anni ’80. A ripercorrere la storia delle discariche delle zona, si scopre che a Piegaro ve ne erano due nell’85, una pubblica e una privata. La chiusura della prima, adibita al raccoglimento di rifiuti urbani e speciali, a esclusione di rifiuti tossici e nocivi, fu autorizzata dallo stesso comune, perché la discarica era in esaurimento. Utilizzata per un periodo molto contenuto, nell’87 fu prorogato il suo utilizzo fino a esaurimento della volumetria con un piano transitorio. La seconda, invece, risulta esaurita al 31 dicembre dell’85. Ma non era l’unica, a regime provvisorio, in cui venivano conferite le ceneri della centrale. E’ poi la legge Ronchi, del 1997, a mettere ordine nella disciplina del recupero delle ceneri. Informazioni importanti se si pensa che all’epoca erano note 108 discariche comunali in Umbria: poi, con la legislazione europea fu necessario passare a 45, poi a 17, fino a raggiungere a 8 siti regionali, tra cui quella della vicina Borgogiglione.

Dalla politica, due sentimenti condivisi: è necessario continuare a indagare e accertarsi, per Squarta e Liberati. Anzi, per quest’ultimo bisognerebbe procedere allo stesso modo per la zona di Fabro. Solinas e Leonelli, invece, sono più cauti: “è irresponsabile parlare di terra dei fuochi”, ha detto Solinas, mentre Leonelli incalzava: la Valnestore è un territorio ricco di turismo e di aziende agricole. Non possiamo creare questo allarmismo, causando effetti negativi a livello economico“.

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