Mentre il suo capogruppo Gianfranco Chiacchieroni tenta di convincere il nazionale del Pd ad un ripensamento sulle sorti di Catiuscia Marini, Giacomo Leonelli, con una “riflessione necessaria su questi giorni” affidata a Facebook fa tremare gli irriducibili, quelli pronti a proseguire ad oltranza questa legislatura nonostante il caso Sanitopoli.
“Questi sono stati e saranno giorni duri – esordisce Leonelli – è inutile nasconderlo. Sia sotto il profilo politico che umano“.
Leonelli parla di una “percezione plastica” di metodi che sembrano assumere “profili clientelari“. Al di là delle persone e degli aspetti giudiziari, che si augura si concludano escludendo conseguenze penali per tutti gli indagati.
Il caso Marini nelle mani di un consigliere
Però la posizione di Leonelli si distacca molto da quella espressa da Chiacchieroni (e dalla stessa Marini, che ha ributtato la palla al Consiglio) e da quanti in queste ore criticano la linea del segretario Zingaretti, anche con riferimento al caso Oliverio in Calabria. “La domanda che dovremmo porci – dice l’ex segretario umbro – non è se essere garantisti o meno“, ma se “la vicenda nel suo complesso mini irreversibilmente la credibilità e l’autorevolezza del governo regionale“.
Argomenta ancora Leonelli: “La prima persona che, gliene va dato atto, ha ammesso il problema è stata la presidente Catiuscia Marini, con le sue dimissioni. Ha ritenuto di non essere nelle condizioni di poter svolgere, nel pieno delle sue funzioni, il ruolo che l’ordinamento le assegna, avviando dunque il percorso di scioglimento della legislatura, senza mai avanzare alcun ripensamento in queste settimane, per poi ribadire la propria ferma intenzione nel consiglio regionale del 7 maggio scorso. Ciò premesso, – aggiunge però – considero un errore aver investito il Consiglio dell’eventuale respingimento delle dimissioni, tenuto conto che queste non sono state espresse per motivi squisitamente politici (come ad esempio la bocciatura di un disegno di legge della Giunta); se dunque la presidente Marini, nell’atto delle dimissioni ha preso una decisione unilaterale e senza coinvolgere i consiglieri mossa evidentemente dalla convinzione di non essere nelle condizioni di svolgere pienamente il ruolo, sotto quale profilo questi sono ora investiti dell’eventuale respingimento? In altre parole, se chi ricopre la carica monocratica ha riscontrato una carenza complessiva (di forza? di autorevolezza? di credibilità dell’azione di Governo?) che rendeva non proseguibile la propria azione, chi sono i consiglieri per affermare il contrario?“.
“Dunque – prosegue Leonelli – la riflessione da fare non è garantismo/giustizialismo, ma autorevolezza, forza e credibilità dell’azione di Governo o meno“. Dubbio sul quale si interroga da giorni. E’ stata la sua posizione, non a caso, quella che nell’ultima seduta ha costretto la maggioranza a respingere l’ipotesi di un “congelamento” delle dimissioni più ampio, con il compromesso del 18 maggio. Leonelli, una risposta, alla luce di quanto questo e di quanto si continua a vedere, la sua idea l’ha rafforzata. Ed è appunto quella che fa tremare gli irriducibili: “La sensazione è che oggi lo spazio per ulteriori tentennamenti o tatticismi si sia davvero esaurito. Abbiamo bisogno di restituire l’orgoglio e la dignità ai nostri elettori e militanti, che non si devono sentire in alcun modo in difficoltà nel sostenere il Partito democratico, ma devono poterlo fare a testa alta“.
Spiega poi ancora meglio, con parole che suonano come una sentenza: “Se una fase si deve chiudere, si chiude: e non perché lo dicono i magistrati, ma perché oggi è consapevolezza comune che debba essere la tutela e la valorizzazione del merito, piuttosto che i favoritismi alle clientele, l’unico strumento di creazione e ricerca del consenso. Se una fase si deve chiudere, si chiude: perché, per quanto difficile possa essere sotto diversi punti di vista, rimane comunque l’unico primo passo possibile per il Pd per reagire, rigenerare e ripartire in Umbria. Se una fase si deve chiudere si chiude: chiudendo anticipatamente la legislatura regionale, ma senza gettare il bambino con l’acqua sporca, ribadendo gli errori e le scuse, ma ricordando anche le cose buone fatte in questi anni e votando tutti insieme una documento che le sottolinei“.
Parole che pesano come macigni, di fronte alla melina fatta dalla maggioranza del gruppo Pd, ormai assediata nel fortino di Palazzo Cesaroni. Numeri alla mano (e senza il soccorso di qualcuno dell’opposizione), per staccare la spina, sabato, può bastare anche una sola astensione tra i banchi della maggioranza. Più probabile, poi, che se qualcuno si prende la responsabilità di creare la breccia, altri, convinti così di poter avere ancora un futuro politico, ci si tuffino.