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“Cari politici…”, Don Formenton scrive ai contendenti in campo

di Don Gianfranco Formenton

Ecco l’editoriale di “Dice che…”, bollettino di collegamento  della Parrocchia S.Martino in Trignano-S.Angelo in Mercole, così per il gusto di parlare di politica nel deserto del proselitismo elettorale a Spoleto e in  Italia.  Meditate e “penitentiagite”.

CARI POLITICI…

In ogni nazione, gli abitanti sviluppano la dimensione sociale della loro vita configurandosi come cittadini responsabili in seno ad un popolo, non come massa trascinata dalle forze dominanti. Ricordiamo che “l’essere fedele cittadino è una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione morale”. Ma diventare popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta.

I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che ci attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo:

IL TEMPO E’ SUPERIORE ALLO SPAZIO

Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. E’ un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci.
A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana.

L’UNITA’ PREVALE SUL CONFLITTO

Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà.
Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. E’ accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. “Beati gli operatori di pace”.

LA REALTA’ E’ PIU’ IMPORTANTE DELL’IDEA

Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. E’ pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza.

IL TUTTO E’ SUPERIORE ALLA PARTE

Anche tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra. Le due cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremismi: l’uno, che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, passeggeri mimetizzati nel vagone di coda, che ammirano i fuochi artificiali del mondo, che è di altri, con la bocca aperta e applausi programmati; l’altro, che diventino un museo folkloristico di eremiti localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini. Il tutto è più della parte ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. E’ necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo che è un dono di Dio.