“Troppe anomalie” alla carcere di Spoleto. A segnalarlo è il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, che chiede una ispezione ministeriale. Nel mirino “le molte anomalie che si registrano sistematicamente sull’organizzazione del lavoro del personale di polizia penitenziaria, sui mancati trasferimenti dei ristretti che si rendono protagonisti di più eventi critici finalizzati ad alterare l’ordine e la sicurezza interna, sulla mancata attuazione delle sanzioni disciplinari rivolte ai detenuti dell’istituto, con conseguente inasprimento della tensione nella Casa di reclusione di località Maiano“.
Ad essere contestato in particolare dal Sappe – che preannuncia anche lo stato di agitazione degli agenti aderenti al sindacato – è l’operato della direttrice del carcere di Spoleto, Chiara Pellegrini.
Spiega Fabrizio Bonino, segretario nazionale per l’Umbria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “Abbiamo segnalato in più occasioni al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma ed al Provveditorato interregionale Toscana-Umbria di Firenze le significative disfunzioni e inconvenienti che riflettono sulla sicurezza e sulla operatività della Casa di Reclusone di Spoleto e del personale di Polizia Penitenziaria che vi lavora con professionalità, abnegazione e umanità nonostante una grave carenza di organico ed una serie di provvedimenti (assunti e soprattutto non assunti!) dal direttore del carcere, Chiara Pellegrini, verso quei detenuti che si rendono protagonisti di gravi eventi critici come, in primis, le aggressioni e le minacce al personale di Polizia in servizio, con inevitabile conseguente tensione tra le sbarre”.
Secondo il Sappe, la direttrice del penitenziario non tutelerebbe la sicurezza dei poliziotti. “A inizio ottobre – sostiene il sindacato – un detenuto ha aggredito un Assistente Capo, ma il direttore non ha subito chiesto l’allontanamento del detenuto cosi come non l’ha chiesto per un altro detenuto che, provvisoriamente in infermeria, quasi ogni giorno insulta e aggredisce, o tenta di aggredire, gli agenti. Tutto questo, a parere del Sappe, conferma con chiarezza come la gestione e l’organizzazione della Casa di Reclusione di Spoleto sono decisamente deficitarie per cui occorre che le Autorità ministeriali intervengano con la massima sollecitudine, con una ispezione interna e con l’avvicendamento del Direttore del carcere di Spoleto”.
Sostengo alle proteste del SAPPE Umbria arriva da Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “Condivido ed anzi sostengo le proteste dei poliziotti penitenziari di Spoleto. A questo hanno portato questi anni di ipergarantismo nelle carceri, dove ai detenuti è stato praticamente permesso di auto gestirsi con provvedimenti scellerati ‘a pioggia’ come la vigilanza dinamica e il regime aperto, con detenuti fuori dalle celle pressoché tutto il giorno a non fare nulla nei corridoi delle Sezioni. E queste sono anche le conseguenze di una politica penitenziaria che invece di punire, sia sotto il profilo disciplinare che penale, i detenuti violenti, non assumono severi provvedimenti. Ormai picchiare un poliziotto in carcere senza subìre alcuna conseguenza è diventato quasi uno sport nazionale, nella indifferenza della politica e dei vertici dell’amministrazione Penitenziaria”.
“Le denunce sulla presunta mala gestione del carcere di Spoleto sono dettagliate e gravi. Vanno approfondite e preso subito provvedimenti. Il personale di Polizia Penitenziaria si sente abbandonato a se stesso e non ha ancora ricevuto i previsti guanti anti-taglio, caschi, scudi, kit antisommossa e sfollagenti promessi dal Capo del DAP Renoldi”, denuncia. “La situazione delle carceri dell’Umbria e italiane, per adulti e minori, è sempre più allarmante per il continuo ripetersi di gravi episodi critici e violenti che vedono sempre più coinvolti gli uomini e le donne appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Donne e uomini che svolgono servizio nelle sezioni detentive senza alcuno strumento utile a garantire la loro incolumità fisica dalle continue aggressioni dei detenuti più violenti. Il taser potrebbe essere lo strumento utile per eccellenza (anche perché di ogni detenuto è possibile sapere le condizioni fisiche e mediche prima di poter usare la pistola ad impulsi elettrici) ma i vertici del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria fanno solo chiacchiere e la Polizia Penitenziaria continua a restarne sprovvisto. Servono con urgenza provvedimenti. E la via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere, prevedendo la riapertura degli Ospedali psichiatrici giudiziari”.