L’arma da cui è partito il colpo che ha ucciso il carabiniere Emanuele Lucentini, e impugnata dal collega Emanuele Lucentini (ora in carcere con l’accusa di omicidio volontario premeditato) non ha difetti di funzionamento. Le prove eseguite sull’M12 di ordinanza escluderebbero quindi che la mitraglietta avesse problemi legati al sistema di sicure. Una prima perizia effettuata dall’esperto di balistica Marco Piovan è stata eseguita il 17 maggio in un poligono di Padova alla presenza dei periti nominati dalle parti e sono state svolte prove sia appunto sul funzionamento delle sicure che di tiro in merito all’espulsione dei bossoli con l’arma in assetti diversi, e l’arma è risultata perfettamente efficiente.
Ma gli accertamenti non sono ancora terminati. Per venerdì è stato fissato il sopralluogo nella Caserma di Foligno, dove si ricostruirà la scena di quel 16 maggio del 2015 quando Lucentini venne trovato morto nel piazzale trafitto da un colpo alla testa, e si fanno le verifiche sulle traiettorie del colpo. Nel pomeriggio dello stesso giorno l’arma sparerà di nuovo, questa volta a Terni nel poligono le Marmore perchè verranno fatte prove di tiro e di espulsione anche su materiali del tutto simili a quelli dove vennero trovati i segni dello sparo e del bossolo.
Ad oggi sulla ricostruzione dell’accaduto sono già stati presentati tre elaborati da parte della procura, che descrivono come inverosimile l’ipotesi di un colpo partito accidentalmente. Il colpo alla testa del collega è partito, secondo Armeni (che ha sempre raccontato la vicenda come un tremendo incidente), mentre scendeva dalla macchina con due M12 in mano, inciampando e non sapendo a cosa aggrapparsi, ha premuto il grilletto facendo partire un colpo finito esattamente contro la tempia del collega. Ma la perizia dice altro in quattro punti: primo, sotto il sedile dell’auto di pattuglia non ci sono mai mitra pronti per sparare, secondo, per caricare l’M12 s2 occorre disinnescare la sicura con due mani per scegliere la posizione a un colpo o a raffica, terzo, lo sforzo necessario per caricare il carrello è di oltre cinque chili e che, quarto, a quel punto per sparare bisogna premere il grilletto con uno sforzo di 4,5 chili del dito indice, mentre, contemporaneamente si oppone una forza sul manico del mitra. In fase di Riesame la difesa aveva proposto la sua di perizia, firmata da tre esperti (un colonnello dei carabinieri, dal professore Romolo e dal dottor Vadalà), sostenendo che nelle condizioni in cui era l’arma fosse sufficiente una pressione accidentale sul grilletto per provocare lo sgancio dell’otturatore e avviare il ciclo di sparo.
La scheda tecnica di un M12 s2 dice che la sicura automatica, che blocca l’otturatore in posizione di chiusura ed il grilletto, garantisce da spari accidentali dovuti ad eventuale caduta dell’arma ed impedisce il fuoco qualora I’arma non fosse impugnata saldamente. La sicura sul tiretto d’armamento arresta il carrello-otturatore, qualora questo non venga armato completamente, prevenendo spari accidentali. Il percussore fisso all’otturatore può percuotere la capsula solo quando la cartuccia è perfettamente alloggiata nella camera di cartuccia evitando, poichè l’arma spara dalla posizione di otturatore aperto, spari prematuri.
Elementi questi che vanno a comporre un quadro che se da un lato pare rafforzare le tesi dell’accusa dall’altro non toglie che la difesa ha sempre sostenuto che vi siano ipotesi non analizzate in virtù di una dinamica dell’evento non valutata a 360 gradi. Ma ormai il processo è alle porte, già definito che si procederà con il rito abbreviato, fino al 28 giugno il perito super partes avrà tempo per depositare il suo lavoro e per il 12 luglio è fissata l’udienza sull’accertamento peritale, e non si esclude che venga deciso di procedere con la discussione già in quella data.