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Carabiniere ucciso a Foligno, Armeni resta in carcere | A febbraio il processo

Anche per i giudici della Cassazione Emanuele Armeni deve restare in carcere. Lo hanno stabilito questa mattina (20 gennaio) con il pronunciamento di rigetto dell’istanza di scarcerazione richiesta dalla difesa del carabiniere in carcere per la morte del collega Emanuele Lucentini. La Corte dopo la discussione che si era tenuta ieri mattina ha emesso così, poco fa, l’ennesimo parere (già per tre volte i giudici si erano pronunciati per la detenzione dell’indagato) a sfavore di Armeni. 

I commenti. Questa mattina l’avvocato della difesa Marco Zaccaria non ha nascosto la delusione “francamente questa difesa aveva fiducia in un intervento della Cassazione sul giudizio del Riesame” ha spiegato a Tuttoggi.info. Di natura diametralmente opposta il commento degli avvocati della famiglia Lucentini (Belluccini e Berellini) “Siamo ovviamente soddisfatti della decisione della Corte, sulla quale avevamo una certa fiducia anche in esito a tutta una serie di pronunciamenti precedenti – ammette per il collegio difensivo l’avvocato Maria Antonietta Belluccini – adesso attendiamo il processo”. Con il pronunciamento dei giudici di piazza Cavour salgono a 4 le decisioni che vedono Armeni destinato al carcere in attesa del processo. Primo era stato il Gip di Spoleto che ha emesso il 16 luglio (ad un mese esatto dalla morte di Lucentini) l’ordinanza di custodia cautelare. Lo stesso Gip ha rigettato la richiesta di scarcerazione presentata dalla difesa dell’indagato e poi per la terza volta la decisione del Tribunale del riesame il 5 di agosto ha lasciato in carcere il carabiniere. Il tutto a fronte della difesa di Armeni che ha continuato a ribadire: “Siamo ancora in attesa dell’individuazione del movente”.

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Processo il 23 febbraio. Revocata la data del rito immediato (che la Procura di Spoleto aveva chiesto per l’indagato) il 23 Febbraio si terrà l’udienza del rito abbreviato come richiesto dalla difesa di Armeni, una prima udienza effettiva quindi basata sullo stato degli atti e forse su perizie aggiuntive della difesa di cui è stata chiesta l’ammissibilità. Il giudice in quella data si pronuncerà se ammettere o meno gli atti prodotti dalla difesa, ma in ogni caso si procederà con il rito abbreviato. Il rito alternativo consentirà, in caso di condanna, lo sconto di un terzo della pena al carabiniere di Castel Ritaldi.

Emanuele Armeni è  in carcere perché i giudici non credono che quel colpo che ha ucciso il collega carabiniere Emanuele Lucentini il 16 maggio del 2015 nel piazzale della caserma di Foligno, possa essere partito accidentalmente.  Secondo la Procura e secondo i togati del Riesame  la versione fornita dall’indagato, di una “storta” al piede che gli ha causato una torsione e la conseguente caduta con il colpo che parte accidentalmente della mitraglietta di ordinanza del collega (“che solo per cortesia stava tenendo”, versione di Armeni, ndr), non regge. Come sarebbe da escludersi il fatto che M12 S2 si sia caricato accidentalmente e che la morte del carabiniere di Tolentino sia il risultato di uno “scherzo finito male”. Nessun dolo eventuale quindi sarebbe alla base di questa tragica morte, ma solo la volontà di uccidere e di farlo “nel luogo più sicuro per il tipo di omicidio commesso”, ovvero la caserma dove i due carabinieri lavoravano insieme. E anche se manca ancora il movente a questa vicenda che ha scosso la Benemerita, e se la versione “a caldo” fornita dall’indagato ha provocato, secondo la Procura,  un iniziale erroneo e “grossolano” indirizzamento delle indagini verso la teoria dell’accidentalità, mentre secondo i magistrati e il Gip e il Riesame si tratta di omicidio volontario, si configura un quadro del delitto che ritrae Armeni mentre mette in atto “una scelta consapevole e volontaria”.

E poi la scelta del luogo, “Paradossalmente il più sicuro, (scrivono i giudici, ndr) perché la telecamera orientata verso il cortile non era funzionante da diversi mesi mentre le altre erano prive di impianto di registrazione (…). Per altro l’esecuzione del delitto all’interno della caserma avrebbe consentito all’Armeni di godere di un trattamento tutt’altro che ostile dai suoi commilitoni, come dimostrato nei fatti dalla circostanza che la gran parte dei presenti, subito dopo il fatto, ha pensato più che a condurre delle immediate indagini ed a prestare i soccorsi a Lucentini, a recarsi dall’Armeni”.

E su tutto pesano quelle frasi intercettate dell’Armeni. Dopo il funerale del collega, nel momento in cui non sapeva ancora di essere indagato per omicidio volontario e nelle quali si esprime in modo sprezzante, troppo, secondo gli inquirenti che trasferiscono direttamente dalla bobina al fascicolo dell’inchiesta le sue parole.