La captazione di acqua dalla sorgente dell’Argentina, da cui ‘nasce’ l’acquedotto che serve la città di Spoleto e non solo, è lecita ed al Comune dovranno essere restituiti 115mila euro. Lo ha stabilito il Tribunale superiore delle acque, che ha messo così la parola fine definitiva ad un contenzioso che nasce 25 anni fa, nel 1992.
A ripercorrere la vicenda, era stato nel 2009 l’allora consigliere di opposizione (ed ora assessore ai lavori pubblici) Angelo Loretoni. La causa avviata nel 2003 faceva infatti seguito ad un’altra, avviata nel 1992 e che nel 1999 aveva visto la condanna definitiva del Consorzio dell’Acquedotto dell’Argentina – di cui faceva parte il Comune di Spoleto – al risarcimento danni per illecito prelievo d’acqua dalla sorgente nei confronti dell’Enel.
Dopo aver perso il primo contenzioso ed i primi due gradi di giudizio nel secondo contenzioso, l’ex Ati 3 (ora Auri) festeggia invece la vittoria. Che comporta un importante risparmio economico per la Valle umbra servizi (che avrebbe dovuto versare oltre 2,5 milioni di euro alla Erg Hydro, subentrata alla Endesa che era subentrata all’Enel), ma che permette anche al Comune di Spoleto di recuperare 115mila euro che erano stati versati come caparra.
All’epoca, – ripercorre in una nota l’ex Ati 3 – a gestire le centrali idroelettriche per la produzione di energia, era l’Enel, e lamentava il fatto che dal torrente Argentina venivano sottratte risorse idriche per uso umano potabile, al fine di alimentare di acqua Spoleto e zone limitrofe. La sottrazione delle acque per uso umano potabile determinava una diminuzione della risorsa idrica e, quindi, una diminuzione della portata del torrente Argentina, con conseguenti cali al Vigi, al Nera e quindi al Tevere, indi minori possibilità di sfruttamento da parte delle centrali idroelettriche lungo i corsi fluviali.
Ormai quasi 10 anni fa il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Roma aveva dato ragione alla società privata che subentrò nella gestione delle centrali, condannando ad un risarcimento l’allora Vus ed il Comune di Spoleto. L’Ati 3 dell’Umbria, si impegnò allora per promuovere un’apposita Legge Regionale, emanata nel 2006 dalla Regione dell’Umbria, che stabilì che le risorse idriche sottratte per l’utilizzo umano potabile non potevano essere conteggiate come eventuale danno in diminuzione della portata e quindi non conteggiabili come richiesta di risarcimento, sanando così anche i precedenti ed eventuali richieste future.
In base a ciò, l’allora Ati3, l’allora Vus Spa ed il Comune di Spoleto, presentarono ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche di Roma, che – dopo un passaggio del contenzioso anche in Cassazione – finalmente, nel febbraio 2017 ha dato ragione agli enti, con sentenza pubblicata lo scorso maggio. L’attuale società che ha in capo la concessione, non solo non potrà più pretendere nulla, ma dovrà anche restituire quanto versato in acconto dal Comune di Spoleto, ovvero 115mila euro. Una doppia vittoria per i cittadini contribuenti.