Avrebbe impiegato lavoratori in nero, senza pagarli e uno anche clandestino in Italia per ristrutturare un maneggio nella zona di Assisi. È stato raggiunto dalla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e dell’obbligo di dimora un imprenditore agricolo di 59 anni, accusato di caporalato aggravato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina allo scopo di lucro. Si tratta di un uomo domiciliato in passato ad Assisi e che attualmente vive a Stroncone (dove è stato rintracciato dai carabinieri della locale stazione).
L’ordinanza di applicazione della misura cautelare, emessa dal gip di Perugia, è stata eseguita nei giorni scorsi dal Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Perugia (NIL), unitamente alla Stazione Carabinieri di Santa Maria degli Angeli.
L’uomo avrebbe sfruttato sei lavoratori, di cui cinque extracomunitari (uno della Costa D’Avorio, tre della Repubblica Dominicana e uno del Gambia) quest’ultimo privo del permesso di soggiorno e dei quali tre occupati “in nero”.
L’ indagine, denominata “Horses – team”, scaturisce da una denuncia presentata, presso la stazione Carabinieri di Santa Maria degli Angeli, nel mese di ottobre del 2020, da tre dipendenti dell’imprenditore i quali lamentavano le gravi condizioni di lavoro a cui erano stati sottoposti. Immediatamente è stato coinvolto il Nucleo Carabinieri ispettorato del lavoro che accertava le effettive condizioni di impiego dei lavoratori.
In particolare, gli investigatori hanno verificato che per un periodo di alcuni mesi i lavoratori sarebbero stati impiegati in mansioni di ristrutturazione e sistemazione agricola all’interno del maneggio, sottoposti ad un orario di lavoro eccessivo (10 ore al giorno, senza riposi, né ferie), esposti a grave pericolo per la salute, in quanto occupati senza il minimo rispetto delle norme sulla sicurezza e prevenzione degli infortuni, in assenza di alcuna retribuzione e senza che gli fossero stati versati i contributi previdenziali e assicurativi. Inoltre, l’ispezione sul luogo di lavoro, ha consentito di appurare che il lavoratore clandestino era stato alloggiato presso una baracca di fortuna, in condizioni precarie e sicuramente inidonee, sia sotto il profilo della salute, che della sicurezza in quanto il locale, in pessime condizioni di manutenzione, è risultato privo del letto, dei servizi igienici, di energia elettrica, acqua e gas (per uso cucina e riscaldamento) e delle misure antincendio.
Le investigazioni consentivano, altresì, di appurare le gravi condizioni di estrema indigenza in cui versavano i lavoratori e che il datore di lavoro li avrebbe sottoposti quotidianamente alle gravose condizioni di lavoro inique e degradanti, approfittando proprio della loro miserevole situazione.
Infatti, gli stessi sarebbero stati costretti ad accettare quelle condizioni proprio per la promessa, che poi non sarebbe stata mantenuta dal datore di lavoro, di ricevere la retribuzione necessaria per mantenere se stessi ed i propri familiari anche all’estero, non avendo altre fonti di sostentamento. Le indagini acclaravano anche il presunto grave stato di intimidazione instaurato dal datore di lavoro, fondato sul rapporto di supremazia e di soggezione nei confronti dei lavoratori che venivano continuamente minacciati di licenziamento nel caso non avessero obbedito a tutte le sue imposizioni.
Il datore di lavoro si sarebbe particolarmente accanito verso il soggetto più fragile, qual era il lavoratore clandestino, al quale aveva addirittura richiesto delle somme di denaro per fargli ottenere, a suo dire, i documenti di soggiorno. Inoltre, lo sventurato, vittima di continue vessazioni ed insulti, anche a sfondo razzista, veniva costretto a lavorare in misura ancora superiore rispetto agli altri lavoratori, proprio perché fruitore dell’alloggio fatiscente, a cui non poteva rinunciare, non sapendo dove andare. Nei suoi confronti il titolare dell’impresa sarebbe addirittura arrivato alle vie di fatto avendolo, in una occasione almeno, colpito con calci e pugni al volto e all’addome, anche con un arnese in ferro.
Nel prosieguo degli accertamenti veniva inoltre rilevata l’instaurazione di un rapporto di lavoro fittizio che l’imprenditore avrebbe costituito nei confronti di un cittadino italiano, già conosciuto dalle forze dell’ordine così come del resto il datore di lavoro, finalizzato all’indebito accreditamento nei suoi confronti di contributi figurativi utili ai fini pensionistici.
Le indagini permettevano di accertare che lo stesso imprenditore si sarebbe reso responsabile anche della presunta appropriazione indebita di un’autovettura, di cui poi lo stesso indagato aveva soppresso pure le targhe gettandole in un cassonetto, di un ciclomotore e di varia attrezzatura di lavoro per un valore stimato di oltre 15.000 euro. Materiali, questi, di cui aveva avuto la materiale disponibilità a seguito della sua immissione in possesso del maneggio, per svolgervi dei lavori di manutenzione.
In ultimo, lo stesso soggetto veniva inoltre deferito per le presunte, reiterate minacce rivolte al proprietario dei beni anzidetti, nonché per atti persecutori nei confronti del proprietario di un altro immobile commerciale, da lui preso in locazione, al quale, oltre a non versargli i canoni dovuti, aveva ripetutamente e gravemente proferito minacce al fine di farlo desistere dalle proprie legittime pretese economiche.
I reati contestati vanno dal caporalato aggravato, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al falso, alle plurime violazioni in materia di sicurezza e prevenzione infortuni, oltre all’appropriazione indebita, alle minacce e agli atti persecutori continuati,
Nel contesto delle investigazioni sono state altresì irrogate al medesimo imprenditore, in materia di tutela del lavoro, ammende contravvenzionali e violazioni amministrative per oltre 26.000,00 euro.
La buona riuscita dell’indagine e l’accertamento di tutte le violazioni è il risultato del lavoro sinergico condotto dai Carabinieri della Stazione di Santa Maria degli Angeli (PG) ed il reparto speciale del Nucleo Carabinieri ispettorato del lavoro di Perugia.