In Italia solo tre donne presidenti e una quota minima nelle Giunte camerali: imprenditoria femminile ancora ai margini
Solo tre presidenti donna (appena il 6,1%) sulle 49 Giunte delle Camere di commercio italiane post-riforma che hanno finora costituito i nuovi organi (Giunte, Consigli, Presidenti). Solo 75 – il 19% – le donne presenti nelle Giunte camerali, l’organo esecutivo che insieme al Presidente detiene il vero potere nelle Camere di commercio. E solo otto Camere di commercio su 49 hanno, nelle Giunte camerali, una presenza femminile uguale o superiore al 30%.
Va meglio nei Consigli camerali (la percentuale delle donne qui è il 26,9%). Ma i Consigli hanno un potere limitato, di indirizzo, tanto che in molte degli enti camerali durante il mandato ci sono dimissioni (cosa che non accade affatto nelle Giunte).
È molto forte, nelle Camere di commercio italiane, il divario di genere a sfavore delle donne, crescente (dal 26,9% nei Consigli, al 19% nelle Giunte, al 6,1% nei Presidenti) al crescere dei ruoli di comando (più donne dove si comanda meno, meno donne dove si comanda di più).
Il Rapporto Mediacom043
E’ uno specchio piuttosto desolante della realtà del mondo economico e associativo imprenditoriale italiano (con le dovute eccezioni) quello che emerge dal Rapporto redatto da Mediacom043, diretta da Giuseppe Castellini. Una situazione, quella disparità di genere negli enti camerali, che trasmette l’immagine di poca modernità, arretratezza e che pone seri dubbi sulla capacità di questo mondo, ora che l’Italia è chiamata a un salto di qualità innovativo in virtù della spinta dei 209 miliardi di euro del Recovery Fund, ad avere le capacità, l’humus, l’apertura necessaria a cogliere fino in fondo la sfida del rilancio e dell’innovazione.
La proposta: quote rosa nelle Giunte camerali
Da qui la proposta di Mediacom043 di una legge (i parlamentari si muovano presto) per introdurre le cosiddette ‘quote di genere’ almeno nelle Giunte della Camere di commercio, come leva per forzare apertura e innovazione, rimuovendo questa ottusa discriminazione nei confronti delle donne imprenditrici, visto che le Associazioni imprenditoriali e social da sole non riescono a compiere questo passo. Come già fatto con la legge Golfo-Mosca che, introducendo le quote di genere nei Cda delle Società quotate in Borsa, prevedendo un minimo del 20% della presenza di ciascun sesso, ha determinato che la quote di donne presenti nei Cda delle Società quotate alla Borsa italiana al 36,9% (il dato è relativo al secondo rinnovo dei Cda dopo l’introduzione della legge Golfo-Mosca, e si prevede che al terzo rinnovo ci si avvicini al 50%). Un aumento spontaneo delle donne nei Cda della Società quotate, ben oltre il 20% fissato come minimo dalla legge, che avviene perché queste Società ne hanno tratto vantaggio, con risultati economici più elevati di quelle Società che invece sono restate al minimo del 30% (diversi punti di vista, infatti, portano a più efficacia, più apertura, più capacità di stare sul mercato).
Donne, guida Sondrio
Il Rapporto rileva – per restare alle Giunte delle Camere di commercio, come detto il vero centro del potere – che le situazioni migliori per la partecipazioni femminile sono quelle delle Camere di commercio di Sondrio (3 donne – il 60% – e due uomini nella Giunta camerale, peraltro con il presidente donna), Brescia (50%) e Nuoro (40%), mentre le peggiori sono le Camere di commercio della Basilicata, Bari (9,1%), Milano-Monza Brianza-Lodi (9,1%), Riviere di Liguria (9,1%), Salerno (10%), Caserta (10%), Molise (11,1%). Poi una raffica di Camere di commercio con appena il 12,5% di donne in Giunta camerale.
Castellini: un privè per soli uomini
“Le Camere di commercio italiane – afferma Giuseppe Castellini, direttore di Mediacom043 – dovrebbero essere la punta avanzata della società italiana, un elemento di modernità e innovazione economica e sociale. Invece, dai dati che presentiamo, in media sono un privé per soli uomini o quasi, lo specchio di arretratezza culturale e dei gravi ritardi che il sistema Italia presenta sulla scena europea (e internazionale), con le note conseguenze. Se la parte che dovrebbe essere più avanzata è in questo stato – continua Castellini – sorgono seri dubbi sul fatto che, a meno di un deciso cambio di rotta – il sistema imprenditoriale italiano sia in grado di cogliere fino in fondo la grande sfida di rilancio e innovazione offerta dal Recovery Fund – Next Generation Ue. E dire che le Camere di commercio, un giorno sì e l’altro pure, si riempiono la bocca con ‘imprese femminili’, salvo poi restare un privé per soli uomini. Così non si fa tanta strada e si compromette il futuro del Paese, dopo aver – almeno in parte – compromesso il suo passato e il suo presente. Stadi fatto che, dopo la legge Golfo-Mosca, si assiste a un crescente divario – anche di efficacia/efficienza e di risultati – tra le Società quotate in Borsa e la gran parte delle altre imprese italiane. Per non parlare dell’arretratezza che dai questi dati emerge sul fronte della qualità delle Associazioni di rappresentanza”.
Il caso umbro
È balzata agli onori della cronaca che la consigliera di parità della Regione Umbria, Monica Paparelli, insieme alle consigliere di parità della Provincia di Perugia, Giuliana Astarita, e di quella di Terni, Maria Teresa di Lernia, circa il fatto che porteranno il caso dell’elezione della nuova Giunta camerale dell’Umbria (dove è stata eletta una sola donna su 8 componenti, comprendendo anche il Presidente) al Tavolo nazionale delle Consigliere di parità e su quello del Ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Non perché non sia stata rispettata la normativa (che per le Giunte camerali prevede sia presente almeno un esponente per ciascun sesso), ma perché si metta mano a un’iniziativa normativa che riequilibri in tutta Italia una situazione di evidente discriminazione delle donne.
Ha fatto seguito la replica del Presidente della Camera di commercio dell’Umbria, Giorgio Mencaroni, che difende le scelte fatte, sottolineando come siano state condivise.
Le donne nelle società quotate in Borsa
Castellini evidenzia a questo proposito che i cambiamenti determinati dalla legge Golfo-Mosca che, attraverso il grimaldello della quota di genere ha aumentato di molto la partecipazione delle donne nei Cda delle Società quotate in Borsa, ha anche dimostrato che le Società con un equilibrio di genere raggiungono risultati nettamente migliori di quelle squilibrate su fronte gender. Ed è questo il motivo per cui le Società quotate non solo non intendono arretrare sul fronte delle ‘quote’, ma le incrementano spontaneamente, tanto che al secondo mandato dei rinnovi dei Cda societari la percentuale di donne nei Cda è arrivata in media al 36,9% e un ulteriore forte avanzamento è previsto per i rinnovi relativi ai terzi mandati.
La lista nera in Italia
Il caso umbro è emblematico perché, come emerge dal Rapporto Mediacom043, benché l’Umbria presenti una percentuale di donne in Giunta camerale da bassa classifica, non è il solo e neppure il peggiore. L’apice, infatti, lo raggiunge la Camera di commercio della Basilicata, dove tra 5 componenti del Consiglio camerale, compreso il Presidente, non c’è neppure una donna. Poi, nella lista nera, ci sono Bari (11 componenti, una sola donna, percentuale ‘rosa’ 9,1%), Milano-Monza Brianza-Lodi (9,1%), Riviere di Liguria (9,1%), Salerno (10%), Caserta (10%), Molise (11,1%).