L’Umbria reagisce in ritardo alle crisi. Così è stato nel 2007, nel 2011 ed anche dopo la pandemia, che oltre agli effetti drammatici in termini di vita umane, ha cambiato abitudini e parametri socio-economici: nel modo di percepire la casa ed i suoi spazi; nell’aumentare la propensione al risparmio; nel favorire il lavoro da casa.
Una scarsa capacità di resilienza ai momenti di crisi, sempre più frequenti nell’economia globalizzata, determinata (o almeno acuita) da diverse cause. Il calo demografico: in 10 anni l’Umbria ha perso 30mila residenti e mille famiglie, un trend che nei prossimi 20 anni porterebbe a perdere altri 142mila residenti. La dimensione d’impresa, aspetto sul quale si sta lavorando anche attraverso i bandi pubblici e la creazione di reti d’impresa, ma che richiede processi almeno di medio periodo. La carenza infrastrutturale (viaria, ma anche, ad esempio, nella qualità delle condotte idriche, con una dispersione superiore al 50%).
Fattori di debolezza che hanno portato l’Umbria, dal 2008 ad oggi a perdere 14 punti di Pil.
Nell’Umbria al bivio, tra declino e rilancio, Cna e Confcommercio, sulla base dei dati emersi dall’indagine condotta da Cresme Ricerche, pongono 70 domande. Proponendo alla Regione (presenti l’assessore Michele Fioroni e l’amministratrice di Sviluppumbria Michela Sciurpa) e agli altri attori sociali, come ha detto nel videomessaggio all’inizio della presentazione il presidente della Camera di Commercio e della Confcommercio regionale, Giorgio Mencaroni, un confronto permanente.
In un approccio positivo e propositivo di chi non si rassegna ad osservare la parola discendente, come ha affermato il presidente di Cna Umbria, Michele Carloni: “Se molti indizi lascerebbero pensare che si sia imboccata una inesorabile fase calante, altri elementi possono rappresentare lo stimolo giusto per provare a costruire un progetto di futuro che inverta con decisione la rotta. A patto che alla definizione degli obiettivi e del metodo concorrano tutte le parti in causa, condividendo le responsabilità e facendo ognuno la propria parte”.
“I risultati della ricerca, che rappresentano il contributo di conoscenza che abbiamo voluto offrire all’Umbria – ha dichiarato Stefano Lupi, vice presidente regionale di Confcommercio -, non lasciano molti dubbi: se non invertiamo la rotta il destino di questa regione è segnato in modo drammatico: spopolamento e invecchiamento, perdita di competitività e perdita di valore aggiunto gettano un’ombra pesante sul futuro”.
Oltre al macro scenario, l’indagine del Cresme ha toccato diversi ambiti: la demografia, i giovani, l’istruzione e il lavoro, la crisi dell’economia umbra degli anni Duemila, le infrastrutture, l’ambiente e la qualità della vita, la struttura economica regionale, il commercio e la ricettività, il turismo, i servizi pubblici, l’industria, le costruzioni.
Il calo demografico – Quello sul calo demografico e sull’invecchiamento progressivo della popolazione è un dato pesantissimo: sono soltanto tre i Comuni in cui crescono gli abitanti (Corciano e, in misura minore, Torgiano e Passignano sul Trasimeno), in tutti gli altri la popolazione scende. In dieci anni abbiamo perso 30mila residenti e mille famiglie. Le proiezioni basate sulle attuali dinamiche stimano che nei prossimi venti anni l’Umbria perderà da un minimo di 100mila a un massimo di 142mila abitanti, praticamente quasi quanto l’intera popolazione di Terni e Spoleto. Con una percentuale di anziani che, se oggi rappresenta il 29% del totale, è destinata a raggiungere oltre il 37%, dato cui fa da specchio la progressiva perdita di popolazione in età lavorativa.
Tra il 2013 e il 2021 solo Corciano ha aumentato in modo consistente la propria popolazione (del 3%) e, in misura marginale, Torgiano e Passignano. Assisi è l’unica tra le città maggiori a non aver perso abitanti. Mentre Terni, nel periodo in questione, ne ha persi 3.925 (3,5% della popolazione) e Perugia 2.909 (l’1,9% della popolazione)
Giovani, lavoro, istruzione – L’occupazione è tornata a crescere e, con oltre 360mila occupati nel 2022, ha superato i livelli del 2019, nonostante i dati Istat dicano il contrario, sottostimando però fortemente l’apporto del settore costruzioni, che aumentano gli addetti di oltre 5mila unità in due anni (dati Casse Edili di Perugia e Terni). Preoccupa il dato sui NEET, cioè coloro che non lavorano né seguono un percorso formativo, che sono il 19% nella fascia di età che va dai 15 ai 29 anni, valore che sebbene sia inferiore alla media nazionale (23%), assume un connotato particolarmente negativo se letto accanto al dato sulla mancanza di manodopera: basti pensare che in Umbria la richiesta di lavoratori tra maggio e giugno 2023 è stata di 16mila unità, di cui il 52% di difficile reperimento, sia per mancanza di candidati disponibili, sia per inadeguatezza delle competenze. Un problema che interroga la scuola e l’università. L’ateneo perugino, dopo anni di discesa costante degli iscritti, sta recuperando lentamente studenti, che nel 2021 erano però ancora poco più di 27mila contro i 37mila del 2004/2005.
La crisi dell’economia umbra – Il valore aggiunto prodotto dai vari comparti è sceso mediamente del 9,5% tra il 2000 e il 2021, precedendo in classifica solo Molise, Sicilia, Calabria e Liguria. Tra le province umbre Terni fa peggio di Perugia. L’unica voce che recupera nella sostanza i livelli di produzione del 2007 è rappresentata dall’aggregato di commercio, ricettivo e ICT (trainato dalla crescita del commercio in senso stretto). La ricerca ha messo in rilievo la scarsa resilienza dell’Umbria di fronte alle crisi, il cui prezzo è stato pagato in particolare da settori che, in qualche modo, ancora oggi la specializzano: industria (che produce il 30% in meno del 2007), le costruzioni (- 24%), agricoltura (- 21%) e servizi pubblici (- 13,2%).
Infrastrutture – Sulle infrastrutture la situazione è altrettanto problematica: le due province di Perugia e Terni sono rispettivamente al 67° e 88° posto per dotazione stradale e al 74° e 53° posto per dotazione ferroviaria. Va molto peggio per quanto riguarda le perdite idriche, che spingono i due capoluoghi di provincia umbri al 95° e 97° posto in classifica. Migliore la situazione sul fonte della connettività, con l’Umbria che si colloca al 10° posto tra le regioni, ma con percentuali sotto la media nazionale.
Il valore aggiunto dell’Umbria – Oggi, l’apporto al valore aggiunto da parte dei diversi comparti vede contribuire il settore finanziario per il 25,9%, il terziario per il 22,8%, i servizi pubblici per il 21,8%, l’industria per il 21%, le costruzioni per il 6% e l’agricoltura per il 2,5%.
Commercio, ricettività, ICT – Come detto l’unica voce che recupera nella sostanza i livelli di produzione del 2007 è rappresentata dall’aggregato di commercio, ricettivo e ICT. Ma in realtà, nel periodo in esame, il comparto è trainato solo dalla crescita del commercio in senso stretto: + 16% (il dato è fortemente condizionato dalla grande distribuzione).
Turismo – Il turismo sta tornando ai livelli del 2010 e si va verso i 6 milioni di presenze, grazie anche al ritorno dei visitatori stranieri, aumentati di oltre il 100%, un incremento almeno in parte riconducibile all’aeroporto San Francesco, che ha registrato un balzo di passeggeri. Il dato sulle presenze, tuttavia, è inferiore a quello raggiunto nel 2006. L’Umbria è ancora quindicesima per arrivi e diciassettesima per presenze. I margini di crescita ci sono per un settore che può incrementare sensibilmente il suo apporto al PIL regionale, a patto però di introdurre innovazioni profonde, sia in fase di raccolta dati sia nella scelta e gestione dei mercati target.
I servizi pubblici – La spesa pubblica si è ridotta sensibilmente (-14% rispetto al 2008 e –17% sul 2004): purtroppo, però, nel 2019 ben l’89,8% di questa è impegnata dalle spese correnti, mentre solo il 10,2% è destinato a spese in conto capitale: in definitiva la riduzione ha riguardato soprattutto le risorse per il territorio e per gli investimenti (viabilità, trasporti, edilizia residenziale, telecomunicazioni, ambiente).
Industria – L’industria concorre per il 21% alla produzione di valore aggiunto. La manifattura, che sconta una crisi pesante e diminuisce in termini assoluti di imprese, nella provincia di Perugia è caratterizzata essenzialmente dai settori: abbigliamento, prodotti in metallo, agroalimentare, prodotti non metallifori e macchinari, mentre a Terni vede protagonista la metallurgia, seguita da prodotti in metallo, agroalimentare, riparazione e installazione di macchinari e apparecchiature, gomma e materia plastiche. Molto positivo il dato sulle esportazioni: tra il 2021 e il 2022 l’Umbria ha avuto tassi di crescita superiori alla media nazionale, classificandosi al 12°. L’altro aspetto positivo è quello sull’innovazione: le imprese umbre con almeno 10 addetti che hanno introdotto una innovazione di prodotto o di processo superano la media nazionale e conquistano il 3° posto: quindi il numero complessivo delle imprese cala, ma quelle che restano sono più innovative.
Costruzioni –Il valore della produzione del settore costruzioni nel 2022 è stato di oltre 4miliardi e mezzo di euro, di cui l’84,2% per investimenti, con interventi che hanno riguardato in gran parte lavori di manutenzione straordinaria (70,4%) e, per una quota residua, nuove costruzioni (13,8%). Importante anche l’apporto all’occupazione, desumibile dai dati delle Casse edili di Perugia e Terni.
Cresme ha presentato poi un confronto tra Perugia e Terni e le altre province italiane in base agli indicatori sintetici.
Perugia risulta 58esima in Italia per competitività: 25esima provincia per popolazione; 27esima per valore aggiunto; 61esima per imponibile Irpefper dichiarante; 107esima nella variazione imponibile pro capite 2021/20; 67esima per incidenza dell’export sul Pil.
Terni conferma indicatori di maggiore difficoltà, posizionandosi all’84esimo posto per popolazione e al 71esimo per valore aggiunto pro capite (84esima per valore aggiunto); 85esima per imponibile Irpef per dichiarante; 45esima per incidenza dell’export sul Pil.
Competitività e attrattività sono le due parole d’ordine lanciate da Cna e Confcommercio. Obiettivi ambiziosi ma possibili, da perseguire producendo lavoro di qualità, offrendo standard elevati di qualità della vita, offrendo un progetto di futuro.
“Noi – hanno detto Carloni e Lupi – non proponiamo ricette. Ecco perché lo studio commissionato al Cresme Ricerche si chiude con 70 domande. Sono quelle che ci siamo fatti e che vorremmo sottoporre a tutti gli stakeholders regionali: istituzioni, politica, rappresentanti dell’impresa, dei lavoratori, della scuola e dell’università (ETC..), della società civile, per invertire la rotta del lento declino della nostra regione e provare, insieme, a immaginare un progetto di rilancio, condividendolo dalla gestazione fino alla realizzazione, assumendosi ognuno un pezzo di responsabilità, lontani mille miglia dalle polemiche di corto respiro che hanno paralizzato il Paese per troppo tempo. I più smaliziati potrebbero leggere i dati della ricerca e le domande che ne sono scaturite come una sorta di brogliaccio per la prossima campagna delle elezioni regionali 2024. Chi conosce il lavoro fatto dalle nostre associazioni in questi anni – hanno concluso i dirigenti di Cna e Confcommercio – sa che, ancora una volta, stiamo cercando di portare un contributo importante alla crescita sostenibile dell’Umbria”.