Cacciatore colpisce altro cacciatore nascosto in cespuglio con 2 fucilate: lo aveva scambiato per un animale selvatico
La Suprema Corte di Cassazione ha messo la parola fine rispetto alla condanna di un cacciatore che, il 02/09/2015, aveva sparato ad un altro cacciatore, scambiandolo per un animale selvatico. L’incidente di caccia era avvenuto nella zona di Narni e il cacciatore condannato aveva esploso due colpi di fucile contro il ‘collega’ causandogli “ferite multiple da arma da fuoco alla coscia sinistra e alla regione pubica per colpa generica”.
Cacciatore condannato per lesioni colpose
Il giudice di pace di Terni aveva condannato il cacciatore che aveva fatto fuoco per lesioni colpose, decisione alla quale si era appellata la difesa dell’uomo, classe 1943, facendo riferimento a 2 osservazioni. Nello specifico, la difesa aveva proposto una riparazione del danno con il risarcimento di 15mila euro, cifra ritenuta “irrisoria” in sede di udienza del 19/01/2021. Sempre secondo la difesa “ai fini di interesse, non rileverebbe la congruità dell’offerta, quanto la sua formulazione nel corso del dibattimento, dalla stessa derivando un onere motivazionale in capo al giudice che intenda disattenderla. Nel caso di specie, il giudice avrebbe omesso qualsiasi riferimento al tema introdotto”.
Per quanto riguarda la seconda osservazione: “Con il secondo motivo, sempre con riferimento all’istituto di cui all’art. 35 cit., la difesa ha dedotto violazione di legge per non avere il giudice disposto la sospensione del procedimento onde valutare la congruità dell’offerta, richiamando Sezioni Unite penali Sbaiz del 2015, per affermare che, ai fini della declaratoria di estinzione, una volta formulata l’offerta, il giudice deve sentire le parti, senza che sia necessario il consenso della persona offesa, il cui dissenso, al contrario, non impedisce la declaratoria di estinzione in esame. In tal caso, il giudice dovrà pronunciare il proscioglimento alla stregua dell’art. 129, cod. proc. pen., essendogli preclusa attività istruttoria intesa ad accertare l’esistenza o meno del reato, il termine dell’udienza di comparizione avendo natura perentoria, sempre che l’imputato sia stato effettivamente edotto della possibilità di estinzione del reato mediante condotta riparatoria, ciò che, nella specie, non era avvenuto, avendo in ogni caso l’imputato formulato l’offerta. Il giudice, dal canto suo, non ne aveva valutato la congruità, eventualmente sospendendo il procedimento per il relativo accertamento”.
Cacciatore condannato
Svolta la relazione dal Consigliere Gabriella Cappello e lette le conclusioni del Procuratore generale Luca Tampieri, il ricorso è stato rigettato e il richiedente condannato anche al pagamento delle spese processuali.
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