La Regione pronta ancora a rivedere le date per la caccia al cinghiale. Trovando nella giornata di domenica 18 ottobre il compromesso tra quanto avveniva prima (con la stagione che si apriva il 1° ottobre) e la scelta di spostarla al 1° novembre.
Nel Calendario venatorio 2020/21 preadottato dalla Giunta regione, infatti, l’inizio della caccia al cinghiale è stato posticipato al 1° novembre (fino al 31 gennaio 2021) per la braccata. Con la possibilità di “interventi di contenimento alla specie cinghiale nei giorni di sabato e domenica del mese di ottobre. Dal 1 ottobre 2020 al 31 dicembre 2020 (ottobre nelle aree non vocate), inoltre, la caccia al cinghiale viene consentita nella forma individuale alla cerca. La caccia al cinghiale nelle forme permesse è consentita esclusivamente nei giorni di giovedì, sabato e domenica. Per il prelievo di questa specie si raccomanda l’utilizzo di munizioni atossiche.
Un provvedimento, questo, che era stato accolto con favore dalle associazioni degli agricoltori. Ai quali, con le nuove norme, viene concessa una maggiore possibilità di sparare agli animali selvatici nei propri terreni in caso di mancato intervento tempestivo degli Atc.
La Regione aveva argomentato lo slittamento al 1° novembre dell’inizio della caccia al cinghiale con la necessità di uniformarsi ai Calendario delle altre regioni del centro Italia, per evitare migrazioni di cinghiali nelle zone dove non si caccia.
Critiche erano state però avanzate da Enalcaccia e soprattutto dalla Federcaccia. E proprio a seguito di un confronto con Federcaccia l’assessore regionale Roberto Morroni sembrerebbe disponibile a trovare una data di compromesso.
Intanto domani (giovedì 28 maggio) associazioni venatorie, degli agricoltori e degli ambientalisti, insieme ai rappresentanti dei tre Atc umbri, si vedranno in video conferenza per discutere della revisione del Regolamento regionale 34/99 e delle modifiche delle norme regolamentari per la caccia di selezione.
Intanto proprio i cinghiali rischiano di far saltare i conti dell’Atc 1. Che si trova a dover pagare 320mila euro per i danni provocati agli agricoltori dagli animali selvatici, soprattutto cinghiali. All’appello mancano 29mila euro, chiesti in più alla Regione. Altrimenti, dovranno scattare gli aumenti delle quote, con ancora pendente la spada di Damocle dei ricorsi al Tar rispetto a quanto deliberato negli anni passati.