Buco di bilancio: si torna in aula. A meno di un mese dal deposito della sentenza della Corte dei Conti dell’Umbria che ha assolto i 10 convenuti (tra politici, dirigenti e funzionari del municipio di Spoleto della passata Giunta Benedetti nel 2009-’14), il Procuratore capo Antonio Giuseppone ha fatto notificare nella prima serata di mercoledì 21 novembre il ricorso davanti alla Sezione centrale della magistratura contabile. Una notizia che gli avvocati di parte per la verità si attendevano. La sentenza di assoluzione, come si ricorderà, aveva riunito i due procedimenti sul recupero Ici e su quello della Tarsu. Per il momento è stata impugnata la sentenza per la prima vicenda (Ici) che secondo gli inquirenti avrebbe comportato un danno alle casse di 2,8 milioni di euro (4,4 mln quella per il mancato recupero della Tarsu e di altre tariffe).
L’assoluzione era arrivata con tanto di condanna alla refusione delle spese legali in quota, ironia della sorte, proprio del Comune di Spoleto per una cifra superiore ai 100mila euro complessivi. La Corte aveva praticamente rigettato la tesi dell’accusa affermando in buona sostanza che non era stata data prova di alcun danno: “non sussiste alcun danno alla finanza pubblica perseguibile….la mera violazione delle regole contabili non determina ex se un pregiudizio erariale. Trattasi di pura violazione formale delle regole finanziarie che di per sé non determina un danno erariale, atteso che l’erronea o la falsa rappresentazione di un dato contabile non corrispondente alla realtà fa venire in essere una violazione meramente formale e non sostanziale. In altri termini il vizio formale non è ex se danno”.
Una decisione che è stata impugnata dal Procuratore che in 42 pagine, che Tuttoggi ha potuto esaminare, ha ripercorso e confermato la fondatezza dell’inchiesta condotta con l’ausilio della Guardia di finanza.
Una vicenda che risale al 2013 e che si è trascinata per oltre 5 anni lasciando non pochi strascichi anche nella gestione politica del governo cittadino.
Il procuratore regionale chiede l’annullamento della sentenza perché questa tra l’altro menziona la delibera della Sezione della Corte regionale n. 34 del 28 febbraio 2018 “che non risulta essere stata depositata né dalla Procura né dai convenuti in giudizio” costituendo ciò “una palese violazione dell’onere e della valutazione della prova”. Si tratta della relazione al rendiconto 2014-15, avente quindi ad oggetto un periodo diverso da quello oggetto delle indagini.
L’eliminazione di consistenti residui attivi e passivi, per € 2.821.557,29 – ha ricordato in premessa Giuseppone – costituisce “un danno erariale, prudenzialmente determinato, nella misura in cui ha rappresentato una alterazione del diritto al bilancio (inteso come valore di trasparenza, integrità e corretto rispetto dell’autorizzazione della destinazione delle somme) che ha comportato per il Comune la necessità di un ripianamento e conseguente danno per la comunità…anche perché, come risulta dal resoconto integrale del Consiglio del 17 giugno 2013, il mantenimento in bilancio di residui attivi insussistenti non era dovuto a meri errori ma era stato scientemente deciso a livello amministrativo con l’avallo e la colpevole inerzia della componente politica, proprio per dimostrare un inesistente stato di salute del bilancio comunale e consentire spese altrimenti impossibili”. Nell’atto il procuratore spiega in dettaglio i motivi della chiamata in causa per un danno di 2,8 milioni e non 9,1 mln con ciò contestando di non aver operato, come sostiene la sentenza, l’equivalenza del “disavanzo = danno erariale”, limitandosi invece “a titolo prudenziale, nella minore somma”.
“Priva di pregio è l’affermazione in base alla quale non si sarebbe fornita la prova in ordine alla esistenza e consistenza delle pretese ricadute negative sulla collettività”. La Procura, si legge nel documento “non ha adombrato ma ha provato che all’indomani del riaccertamento straordinario con emersione di un disavanzo del bilancio 2012 di 9,1 mln, il Comune ha dovuto con delibera di Giunta n. 285 adottare linee di indirizzo e determinazioni per il piano triennale di rientro dal predetto disavanzo”. La delibera indica la riduzione di somme da destinare ai grandi eventi, aumento delle tariffe cimiteriali, diritti di segreteria per alcune certificazioni, l’istituzione della tassa di soggiorno, disdetta di adesione a associazioni, ricerca di sponsorizzazioni, concordare con Vus una gestione della discarica che determini ristori per il Comune, la vendita dell’azienda di Giano, la cessione delle rete gas metano.
Le difese si dicono pronte a dare battaglia e a dimostrare l’estraneità dei propri assistiti. La sentenza di primo grado è sicuramente un buon punto di partenza. “Quella emessa dalla Sezione regionale umbra è una sentenza granitica” dicono i legali “fondata su basi solide. La tesi dell’accusa continua a basarsi su supposizioni senza dimostrare in concreto nulla. Quanto ai presunti danni alla collettività spoletina, come già esposto in giudizio nessun servizio è venuto meno, sui grandi eventi si è fatto fronte all’arrivo della troupe di Don Matteo che ha generato un concreto rilancio dell’attività economica e turistica, la tassa di soggiorno è stata attivata dalla successiva Giunta nel 2015, le tariffe cimiteriali sono rimaste inalterate, l’azienda di Giano era in vendita da anni e non è stata ancora ceduta. Di cosa stiamo parlando?”.
Ci vorrà almeno un anno prima che si possa arrivare alla sentenza da parte della Sezione giurisdizionale centrale d’appello. La Procura ha rinnovato l’invito a comparire in giudizio a 10 esponenti tra politici, dirigenti e funzionari e precisamente Antonella Quondam Girolamo (difesa dall’Avvocato Mauro Minci), Brunella Brunelli (Avv. Alessandro Longo), Francesco Rosi (Avv. Stefano Rosi), Lucia Santoni e Lorena Frezza (Avv. Leonardo Donnola), Amedeo Santini (Avv. Valeriano Tascini), Angelo Cerquiglini (Avv. Lietta Calzoni), Sonia Minni (Avv. Massimo Marcucci), Daniele Benedetti (Avv. Alessandro Formica) e Paolo Proietti (Avv. Simone Budelli). In attesa di capire, cosa alquanto probabile, se verrà impugnata anche l’altro faldone dell’inchiesta relativa alla Tarsu.
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