Carlo Ceraso
Fumata ‘grigia’ per il board di Fondazione CariTerni, chiamato a valutare l’ingresso in Clitumnus, la cordata umbro-laziale interessata a rilevare Banca Popolare Spoleto (da febbraio messa in sicurezza da Bankitalia) e unica pretendente disposta a riconoscere un ruolo alla controllante Scs e ai suoi 18mila soci. Terminato in prima serata, il cda, a quanto ha potuto apprendere Tuttoggi.info, si svolto all’insegna della tensione, fra chi resta convinto di non rischiare lo ‘strappo’ con Intesa Sanpaolo (Fornaci e Alunni) e chi invece reputa necessario un intervento a salvaguardia dell’ultima banca umbra.
Una partita delicata, tanto che il Comitato di indirizzo della Fondazione ternana, che avrebbe potuto esercitare una azione vincolante nei confronti del board, nei giorni scorsi si era limitato a rivolgere un invito alla governance al fine di approfondire la proposta di entrare in Clitumnus dal momento che viene “messa in discussione l’esistenza stessa dell’ultima Banca locale presente sul territorio”.
Il pressing – l’organo di indirizzo era andato anche più in là, fino a spingersi ad una critica neanche tanto velata sulle stesse decisioni prese a suo tempo su CaRiTerni, assorbita poi in Casse dell’Umbria (sotto il controllo di Intesa Sanpaolo). Leggiamo il documento riservato inviato al cda e che TO® ha potuto visionare: “…le altre esperienze, concernenti cessioni e aggregazioni bancarie operanti nella città, compreso quanto successo alla nostra ex controllata, testimoniano il progressivo deterioramento dell’attività bancaria locale, sempre più distante dal tessuto e dall’economia cittadina….l’assoluta mancanza di punti di riferimento locali, di centrali decisionale, ha portato ad un progressivo degrado del tessuto economico cittadino, già duramente provato dalla crisi, con una sospensione pressochè completa di nuove iniziative, nella completa mancanza di un interlocutore bancario veloce, affidabile e che conosca il territorio. Della cosa non potremo non tenere conto quando saremo chiamati a fare scelte nel settore degli investimenti finanziari”. “A nostro parere – si legge nel documento, approvato a maggioranza – il Cda della nostra Fondazione ha il dovere di determinare se ci sono i presupposti per continuare una trattativa che porti una serie di vantaggi alla Fondazione, alla città di Terni e al suo sviluppo economico. Al Consiglio confermiamo pertanto il nostro appoggio alla strategia di valutare la possibilità, in assoluta indipendenza, di acquisire o meno una partecipazione in una holding che abbia la possibilità di preservare l’univa vera banca territoriale rimasta, con quello che comporta per il nostro territorio, ben guardando al piano industriale, alle condizioni di acquisizione e rimuovendo gli eventuali aspetti ostativi, sia dal punto di vista legale che dal punto di vista finanziario che si frappongono alla eventuale felice conclusione dell’operazione”. Un messaggio fin troppo forte e chiaro per non essere recepito da Fornaci & Co.. Anche se all’interno del Comitato c’è chi si dice contrario, come il consigliere Marco Corradi che sottolinea come una eventuale partecipazione non costituirà un investimento “a bassissimo rischio e con rendimento certo”, richiamando così i limiti che la legge pone agli interventi delle fondazioni.
La quota – a quanto si apprende la Fondazione, che vanta un patrimonio complessivo di circa 170 milioni di euro, potrebbe entrare nella ‘partita’ Bps con una quota di 20 milioni di euro (fra pacchetto azionario e ricapitalizzazione).
Gli appelli – l’ingresso dell’istituzione della città dell’acciaio sembra strategica non tanto per e non solo per l’apporto economico (fonti non ufficiali sostengono che a Clitumnus sarebbero interessati anche imprenditori del calibro di Diego della Valle e della famiglia Ferrero), quanto per completare l’assetto geografico regionale. Per questo si rinnovano gli appelli di associazioni di categoria e sindacati a non ‘perdere il treno’. L’ultimo in ordine di tempo quello di Confartigianato Imprese Terni del presidente Giuseppe Flamini: “è importante che l’Umbria mantenga i pochi centri decisionali rimasti in materia di credito e che siano effettivi e non solo di rappresentanza. Riteniamo pertanto strategico che la Banca Popolare di Spoleto resti in Umbria quale banca del territorio e auspichiamo che, al fine di poter mantenere il controllo di Bps, possa esserci la più ampia partecipazione di tutte le realtà economiche dell’Umbria, a partire dalle Fondazioni Bancarie ed in particolare la Fondazione CARIT che negli anni si è mostrata sempre attenta alle sollecitazioni provenienti dal tessuto produttivo locale”.
Non meno incisivo quello di Lucio Giardini della Uilca il quale, dopo aver ricordato la grave situazione economico finanziaria, passa in rassegna le ricadute sociali che “il processo di aggregazione bancaria in Umbria ha provocato. I circa 600 occupati attuali di Banca dell’Umbria più gli occupati del centro servizi di Madonna Alta, compensano i 974 dipendenti di Cassa di Risparmio di Perugia più quelli del Mediocredito Regionale Umbro? I poco più di 120 occupati dentro Casse dell’Umbria, rivenienti dalla Cassa di Risparmio di Terni, compensano i 283 occupati al momento della cessione?” domanda Giardini “solo per citare i due istituti maggiori, per questo ci rivolgiamo all’Umbria tutta”. Il sindacalista ricorda poi alle fondazioni: “per quanto riguarda le decisioni di investimento degli investitori istituzionali, oggi in Italia investire in titoli del nostro debito pubblico
presenta profili di rischio ben più alti di quelli di detenere una quota di partecipazione azionaria in una banca, con la caratteristica che questa presenta duplice prospettiva di ritorno, quella legata alla redditività e quella della ripresa di valore”. Una osservazione per aprire un tema più delicato e spazzare via, a suo dire, le ipotesi circa un ‘patto’ che vincolerebbe le Fondazioni a Intesa Sanpaolo: “Vorremo che fosse fatta chiarezza – continua il responsabile Uilca – circa l’esistenza di un accordo, qualcuno dice di un contratto, che vieterebbe alla fondazioni ex bancarie che hanno avute liquidate per intero le partecipazioni di minoranza detenute nelle articolazioni societarie del gruppo Intesa, di assumere impegni, di varia natura, in attività concorrenti. Chiediamo a Banca Intesa di smentire nettamente tale circostanza. Sarebbe oltremodo grave quantomeno sotto il profilo della correttezza nella concorrenza e ci sfuggono i contorni giuridico istituzionali della cosa se questo fosse vero. Auspichiamo una decisione positiva, di partecipazione di TUTTE le fondazioni ex bancarie umbre, non solo per l’apporto finanziario che esse assicurerebbero, ma altresì per quell’apporto di valori immateriali quali l’esperienza, la conoscenza del settore, le competenze tecniche che sia pure nelle funzioni di indirizzo e di controllo, sono indispensabili per assicurare il successo del progetto di fronte ai severi giudici che determineranno le sorti della banca umbra e del suo sistema bancario”.
Ancora 10 giorni – dal cda di FCaRiT trapela che la decisione non dovrebbe arrivare prima del 9 novembre, forse per consentire ai consulenti incaricati di valutare l’ingresso in Clitumnus di completare il loro lavoro. Nessuna novità da piazza Pianciani dove i Commissari straordinari attendono con pazienza la consegna delle eventuali offerte: sul tavolo, oltre a quella della cordata guidata dal professor Francesco Carbonetti, restano le dichiarazioni di interesse di Popolare Bari e Banco Desio Brianza. Occhi puntati su quest’ultima che, forte di una maggiore liquidità, potrebbe presentare una offerta allettante, anche se non verrebbe presa in considerazione l’ipotesi di concedere un ‘ruolo’ alla cooperativa Scs. In tal senso voci non controllate sostengono che nei giorni scorsi due ex amministratori defenestrati da Bankitalia sarebbero partiti alla volta di Desio per offrire i propri servigi. La partita Bps resta ancora tutta da giocare.
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