Evadevano l’Iva sui carburanti attraverso raggiri documentali: tredici persone sono finite in manette questa mattina. Otto di queste si trovano in carcere e cinque sono state confinate ai domiciliari, su richiesta della procura della Repubblica di Perugia.
Gli arrestati, residenti in Umbria, Lombardia, Marche, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia e Svizzera, sono indagati per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di frodi fiscali. Contestualmente le Fiamme Gialle di Perugia, sempre su disposizione del Gip, hanno eseguito il sequestro preventivo di oltre 25 milioni di euro fra conti correnti, quote societarie, beni mobili ed immobili riconducibili agli indagati ed alle società coinvolte nell’associazione.
Le indagini sono partite da un controllo fiscale nei confronti di un’importante società umbra che opera nella distribuzione di prodotti petroliferi. Da questo sono stati ricostruiti i rapporti commerciali intrattenuti da un imprenditore umbro, fino a risalire ai vertici di due distinte organizzazioni criminali, una delle quali di livello internazionale, attive nel settore della commercializzazione di carburanti per autotrazione.
L’imprenditore è risultato il ‘terminale privilegiato’ delle due organizzazioni che, in modo del tutto indipendente l’una dall’altra, avevano messo in piedi una colossale frode all’Iva. Sfruttando la normativa vigente per l’acquisto di beni in ambito comunitario, per cui l’Iva viene applicata nel paese di destinazione, le due organizzazioni criminali riuscivano ad evitare il pagamento dell’imposta, ottenendo importanti guadagni illeciti con il commercio di carburante.
In particolare, i promotori di una delle due associazioni avevano costituito una società svizzera, che acquistava carburante da regolari raffinerie dislocate in Slovenia e Croazia e lo rivendeva, applicando un margine di guadagno, a 8 società fittizie con sede in Italia, appositamente create ed intestate a prestanomi ma, di fatto, riconducibili agli stessi promotori. Così, mentre il carburante transitava dall’Est Europa in un deposito fiscale italiano, in attesa di giungere ai destinatari finali, le società interposte emettevano false fatture di vendita ad un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto dalla società svizzera, con l’applicazione dell’Iva.
In questo modo, i destinatari finali del carburante riuscivano a spuntare un prezzo più basso di quello praticato dal mercato, così da poter praticare, presso le proprie pompe di benzina, prezzi più convenienti rispetto alla concorrenza, con conseguente distorsione del mercato e notevole danno per gli altri operatori del settore. Contestualmente, le società fittizie aumentavano il loro debito Iva nei confronti dello Stato, senza mai assolverlo, mentre il margine di guadagno della compravendita di carburante veniva depositato al sicuro nei conti svizzeri nella disponibilità dei promotori dell’organizzazione.
Inoltre, per evitare controlli che potessero disvelare il meccanismo fraudolento, il prelevamento del carburante dal deposito fiscale avveniva in tutta regolarità, con il pagamento dell’accisa e la predisposizione della documentazione di trasporto per le autocisterne: allo stesso modo, venivano regolarmente effettuati i pagamenti in corrispondenza dei vari passaggi del prodotto (società svizzera – società fittizie – cliente finale). Analogo schema fraudolento è stato adottato dalla seconda organizzazione criminale che si è avvalsa della consulenza di un commercialista romano per l’individuazione dei potenziali prestanomi cui intestare 13 società fittizie, che rivendevano il carburante a distributori finali. In alcuni casi, venivano poste in essere delle varianti al modus operandi per rendere più complessa la ricostruzione dei fatti illeciti: le società fittizie procedevano, infatti, all’acquisto di carburante da fornitori italiani presentando false “dichiarazioni di intento”, in cui attestavano di essere esportatori abituali, circostanza che consentiva di traslare su di loro il debito IVA.
Le indagini hanno consentito di individuare ben 21 società fittizie create dalle due organizzazioni criminali ed intestate a prestanomi che, in un biennio, hanno frodato il fisco, complessivamente, per oltre 25 milioni di Euro. Proprio per arginare questo fenomeno criminale, che prende il nome di “frode carosello”, il legislatore è intervenuto in occasione della legge di bilancio 2018, prevedendo ora anche per l’IVA, così come già contemplato per l’accisa, l’obbligo di versamento dell’imposta all’atto dell’estrazione del carburante dai depositi fiscali.