Spoleto

Bellezza e passione, il dramma di Oscar Wilde a Spoleto60

Passione, cultura, politica, arte oratoria, storia, ironia e dramma, legati insieme da 9 straordinari attori che per circa due ore e mezza tengono gli spettatori incollati al palco nel far loro scoprire e rivivere la vita, i sentimenti, le emozioni di Oscar Wilde e di chi lo ha amato, difeso, ma anche osteggiato ed odiato.

In “Atti Osceni – I tre processi di Oscar Wilde” – andato in scena in anteprima nazionale ieri sera all’auditorium della Stella per il 60esimo Festival dei Due Mondi di Spoleto (con repliche oggi alle 17 e domani alle 11), testo di Moises Kaufman tradotto da Lucio De Capitani – è la bellezza, quella delle parole, dei sentimenti, dell’arte oratoria, a permeare il palcoscenico, spoglio di tutto tranne che per alcune sedie e tre sbarre, altamente simboliche. Quelle sbarre, che si spostano di continuo anche a rappresentare l’abitazione dello scrittore, si stringono poi con estrema lentezza attorno ad Oscar Wilde alla fine dell’ultimo processo, al momento della condanna.

Ciro Masella nei panni del marchese di Queensberry

Quello che il Teatro dell’Elfo – per la regia, le scene ed i costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia – porta in scena a Spoleto è uno spettacolo complesso, dove citazioni di Wilde, atti di processi, lettere, libri ed articoli di giornali si intersecano, a volte recitati da voci sovrapposte. Un ritmo veloce che riesce nel difficile obiettivo di non annoiare mai il pubblico, i cui giudizi al termine sono pressoché unanimi, come hanno mostrato i diversi minuti di applausi ininterrotti davanti ai nove attori, tutti di una bravura straordinaria.

Lo spettacolo si apre con il primo processo, quello che Oscar Wilde (sul palco interpretato da Giovanni Franzoni) ha intentato nei confronti del marchese di Queensberry (uno strepitoso Ciro Masella, ben conosciuto in Umbria), nel 1895, per diffamazione. “Oscar Wilde si atteggia a sodomita” sostiene il marchese, padre di Alfred Douglas, “Bosie” (Riccardo Buffonini), con cui dal 1891 lo scrittore irlandese ha effettivamente una relazione omosessuale in un Inghilterra bigotta dove la legge vieta la sodomia (e lo farà fino ad oltre la metà del 1900). E nel primo processo – vissuto nell’Inghilterra e nell’Europa dell’epoca come un vero e proprio spettacolo – con continui flashback interrotti da articoli di giornali dell’epoca, si intervallano e sovrappongono i dialoghi dei protagonisti ed i narratori. Un viaggio tra libri (su tutti “Il ritratto di Dorian Gray”), lettere, ma anche memorie, che porta poi alla decisione – suggerita dall’avvocato di Wilde, Edward George Clarke (Giuseppe Lanino) – di ritirare le accuse di diffamazione verso il marchese di Queensberry quando questi (insieme al suo legale, interpretato da Nicola Stravalaci che nel terzo processo sarà invece il giudice) annuncerà di avere come testimoni alcuni giovani amanti dello scrittore. Lo spettacolo potrebbe chiudersi qui, e difatti la fine del primo tempo segna quasi l’inizio di un secondo spettacolo, dove Oscar Wilde mette da parte un po’ della sua sfrontatezza e si fa più intimo, riflessivo, fragile, anche nel suo tormentato rapporto con “Bosie”, che parte per la Francia al pari di moltissimi nobili e politici inglesi del tempo quando lo scrittore finisce sotto accusa per sodomia.

Edoardo Chiabolotti, Giusto Cucchiarini, Ludovico D’Agostino e Filippo Quezel

Il secondo processo è infatti quello all’artista, denunciato alla regina dal marchese di Queensberry portando a proprio supporto le testimonianze di alcuni ventenni che dichiarano di aver avuto rapporti sessuali in cambio di denaro o regalie con Oscar Wilde. Rapporti negati nel processo, seppur realmente avuti, dallo scrittore, per il quale la moralità (e dunque l’immoralità) non esiste. Ed a sottolineare l’idea di un complotto, che poi viene alla luce prima del terzo processo, è l’ostentato atteggiamento dei ragazzi chiamati a testimoniare (Edoardo Chiabolotti, Giusto Cucchiarini, Ludovico D’Agostino e Filippo Quezel), in scena con un corpetto da donna. A fare da contraltare alle accuse ‘materiali’ c’è l’accorato appello alla bellezza ed all’arte dello scrittore, che scuote gli animi, del pubblico e della corte. Ed il secondo processo si chiude con una non sentenza: la corte è divisa e l’artista finisce in libertà vigilata.

Ma il terzo processo si deve fare e la condanna è già scritta, per essere esemplare nei confronti di una società che sta diventando sempre più immorale. Condanna che arriva insieme ad una presa di coscienza di Oscar Wilde dei suoi errori: “Se non c’è niente di sbagliato in quello che ho fatto, è sbagliato quello che sono diventato“. E tra le urla in scena sentenzia: “Un giorno vi vergognerete di avermi trattato in questo modo“. Così sarà, infatti, ricordano gli altri otto attori sul palco quando Oscar Wilde ormai è uscito di scena. Dopo la condanna a due anni di reclusione e lavori forzati, la morte civile ed i debiti, i libri ed i beni finiti all’asta, lo scrittore muore nel 1900, tre anni dopo essere uscito dal carcere probabilmente per un’infezione non curata; al suo funerale parteciperanno appena 12 persone. Ma appena 20 anni dopo “Oscar Wilde è l’autore inglese più letto dopo Shakespeare”. La moralità dell’epoca vittoriana ha perso, ma per la libertà dei diritti bisognerà aspettare ancora qualche decennio.

(Foto Ufficio Stampa Spoleto60)