Da factotum, il tuttofare, era diventato un ricco imprenditore , almeno sulla carta, ma è finito nei guai dopo aver rubato una campana in bronzo e ferro del ‘500 dal tetto di una villa e consegnata ad un antiquario in conto vendita e per essersi appropriato indebitamente di tutti i beni mobili presenti all’interno della dimora storica. Da questa condanna è nata infatti un’indagine della Finanza che in questi giorni ha attuato un sequestro preventivo per un valore di 860mila euro e indagato l’uomo per reati fallimentari, tributari e autoriciclaggio.
A finire nei guai il rappresentante legale di due società di Panicale operanti nel settore agricolo: nel 2018 l’uomo è stato condannato per il furto di una campana antica e di alcuni mobili della villa di cui era il factotum, ma poi sono finite poi sotto la lente una serie di sue operazioni di investimento e disinvestimento che hanno permesso di ipotizzare i reati di bancarotta fraudolenta, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e autoriciclaggio.
Nello specifico le indagini sono partite nel 2016 quando i carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Perugia hanno denunciato l’imprenditore il quale — all’epoca, factotum del proprietario di una residenza di pregio del XVII secolo e divenuto, nel tempo, legale rappresentante di molte società riferibili a quest’ultimo — per essersi impossessato di una campana in bronzo e ferro risalente al ‘500. La campana è stata portata via dal tetto della villa e consegnata a un antiquario e dalle indagini è emerso come l’uomo si sarebbe appropriato indebitamente di tutti i beni mobili presenti all’interno della dimora storica. Fatti per cui nel 2022 l’uomo è stato condannato e la campana è stata destinata alla Galleria nazionale dell’Umbria.
Ma nel frattempo, nel 2018, la guardia di finanza ha svolto accertamenti sulla provenienza del denaro con cui l’indagato avrebbe comprato un appartamento a Perugia, intestato formalmente alla figlia. Come si legge nella nota sulle indagini firmata dal procuratore Raffaele Cantone, “Dall’esame preliminare della documentazione bancaria — pur non rilevandosi elementi sufficienti a dimostrare che l’acquisto fosse avvenuto con i proventi (illeciti) della vendita dei beni mobili sottratti dalla villa — sono emerse anomale ed ingenti movimentazioni finanziarie (prelievi in contanti, bonifici, investimenti in polizze vita) dai conti delle società risultate, tra l’altro, inattive, in totale stato di abbandono ed inadempienti rispetto agli obblighi tributari”.
I successivi approfondimenti hanno “consentito di appurare che sugli stessi non era mai stata svolta alcun tipo di attività agraria e che, quindi, non era possibile inquadrare tali beni immobili come ‘strumentali’ all’esercizio di impresa agricola e beneficiare del regime privilegiato di tassazione su base catastale”. Da qui, le accuse di omessa dichiarazione dei redditi in relazione alle plusvalenze realizzate nella compravendita dei terreni. E ancora, “analizzando i conti correnti su cui erano affluiti i proventi delle operazioni di compravendita immobiliare si riscontrava che gli stessi erano stati distratti dall’indagato —causando il dissesto finanziario delle società — per la sottoscrizione di polizze assicurative a suo nome, per l’acquisto dell’appartamento intestato alla figlia, per l’avvio di altre attività commerciali (tra cui anche un ristorante a Perugia) e per la costituzione di un trust in cui erano confluiti altri immobili”. Una volta verificata la fallibilità delle società, il pm ha chiesto e ottenuto, nel 2022, il fallimento e la successiva contestazione dei reati fallimentari. A essere sequestrati come detto 861.381 euro, i profitti che per l’accusa sono stati illecitamente accumulati.