Terni

Autonomia differenziata e premierato: “Riforme sì, ma non così”

 “Riforme sì, ma non così: confuse, sbagliate e vuote nell’essenza stessa delle parole che esprimono. Tanto che si continua a navigare a vista”.
Un’analisi puntuale quella emersa dal convegno “Dialogo sulle riforme: premierato e autonomia differenziata patrocinato dalle Autonomie locali italiane (Ali) e dal movimento Tempi Nuovi – Popolari Uniti che si è tenuto all’hotel Valentino di Terni.
Ad essere messo in discussione dai relatori è soprattutto il metodo con il quale il Governo nazionale sta affrontando due temi cruciali: da una parte, con il premierato, si va a modificare l’assetto istituzionale del Paese; dall’altra, con l’autonomia differenziata, si incide profondamente sull’assetto territoriale nelle sue prerogative, con inevitabili conseguenze sulla vita dei cittadini.  
Ad aprire i lavori, moderati da Valeriano Giambitto, cultore di Diritto pubblico dell’università degli studi di Perugia, è stata il consigliere regionale Donatella Porzi che, di recente, ha discusso in Aula un suo atto sull’autonomia differenziata incalzando la Giunta sulle conseguenze che la riforma avrà sull’Umbria.
“Quando ero Presidente del Consiglio regionale – ha detto Porzi – ho espresso la mia titubanza rispetto all’autonomia richiesta da alcune regioni su tutte le 23 materie previste. L’Umbria, di concerto con Toscana e Marche, fece una proposta su tre materie e, a distanza di tempo, con il mio atto ho chiesto alla Giunta in carica se, ed eventualmente su quali materie, ha intenzione di richiedere l’autonomia; cosa può rappresentare un’opportunità per differenziarci. Non ho ricevuto risposta, mi è stato detto che prima si sarebbero dovuti fare i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. Proprio il giorno dopo alcune regioni hanno richiesto l’attivazione della procedura sulle nove materie “non Lep”, cosa che ha scatenato la disapprovazione anche da parte di regioni di Centro-destra. Sulla sanità il Covid ci ha insegnato che dobbiamo riaprire il confronto: non è possibile che ci sia una diversa aspettativa di vita a seconda che si nasca in una regione piuttosto che in un’altra. Credo che gli eventi che a volte ci travolgono, debbano insegnarci che anche le proposte legislative messe in campo vanno rivalutate e monitorate e che si deve essere disposti a modificarle con umiltà qualora non producano i risultati attesi”.  
“Come Ali – ha detto il vicepresidente nazionale e presidente regionale dell’associazione Autonomie locali italiane, Massimiliano Presciutti – siamo ben consapevoli di cosa potrebbe accadere, sia nei piccoli che nei grandi centri, se queste riforme trovassero compimento. Noi abbiamo una cosa che tutti ci invidiano, la nostra Carta Costituzionale, scritta con il contributo di tante persone che spesso la pensavano agli antipodi, ma che unirono le loro intelligenze consegnandoci un testo oggi fortemente messo in discussione da queste riforme. E quando per motivi prettamente politici, non certo istituzionali né di tutela del bene comune, si gioca allo scambio, allora abbiamo perso di vista ciò che significa stare nelle istituzioni. Abbiamo bisogno di un quadro di regole chiaro e condiviso, di un equilibrio istituzionale importante che abbiamo conquistato e che non possiamo smontare pezzo per pezzo”.
Entrando nei dettagli della proposta di riforma sul premierato Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato della Sapienza Università di Roma, ha sottolineato “che si tratta di un testo confuso e ambiguo, che produce forti rigidità e che è dannoso e del tutto inutile, anzitutto a risolvere il problema dell’instabilità di governo, che è l’obiettivo che invece si dice di voler perseguire. Per cui, anche per uno studioso come me, aperto alle riforme e al rafforzamento della premiership per sanare le ben note “degenerazioni” del parlamentarismo, la soluzione proposta è assai fragile nonché paradossale in quanto, invece di rafforzare il Presidente del Consiglio, appunto, lo indebolisce. Non a caso non esiste un Paese al mondo che adotti l’elezione diretta del Presidente del Consiglio che, peraltro, crea confusione con il ruolo del Capo dello Stato”.
Sull’autonomia differenziata è intervenuto Luca Castelli, professore di Diritto pubblico dell’Università di Perugia: “Molto in sintesi direi sì. Ma dobbiamo distinguere il principio dell’autonomia differenziata, che in sé è corretto perché consente di valorizzare specifiche esigenze del territorio o tradizioni locali, dalla sua attuazione con la legge Calderoli, che invece è sbagliata perché prima di avviare l’autonomia differenziata bisognava determinare e finanziare i Lep e bisognava dare attuazione all’art. 119 della Costituzione sull’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali. Ma attenzione a non demonizzare il principio: l’alternativa è il centralismo e questa non è la prospettiva che serve al Paese”.
“La discussione di oggi – ha concluso Valeriano Giambitto dopo uno spazio dedicato al dibattito con il pubblico – conferma come, anche una platea e dei relatori di spirito profondamente riformista, siano preoccupati delle conseguenze sociali e istituzionali delle riforme messe in campo dal Governo. Il premierato, fondato sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio, assorbe poteri dal Parlamento nella funzione di determinazione ed attuazione dell’indirizzo politico, e soprattutto, depotenzia il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Pensare di rafforzare il Presidente del Consiglio dei Ministri senza incidere sul delicato equilibrio dei poteri, non è immaginabile. Sul versante dell’autonomia differenziata, l’attribuzione di competenze aggiuntive alle regioni italiane comporta rischi per la coesione e per le finanze pubbliche. Il principio di sussidiarietà è inseparabile da quello della solidarietà, ogni volta che si scindono si impoverisce il tessuto sociale”.

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