Come 30 anni fa, il 27 ottobre del 1986, il momento più atteso di tutta la giornata dedicata alla preghiera di pace “Sete di Pace” ad Assisi voluta da Papa Francesco ed organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, è quello dei discorsi di chiusura tenuti sulla piazza inferiore della Basilica di Assisi. Tutti i fedeli attendo le parole di pace dei principali rappresentanti delle religioni mondiali che con la riflessione finale chiudono l’importantissima 3 giorni di incontri, scambi e preghiera sotto il segno della Misericordia.
“Oggi uomini e donne di tutte le religioni saremo ad Assisi non per uno spettacolo, ma semplicemente a pregare per la pace”. Lo aveva detto il Papa in un tweet prima di partire per Assisi. Un parola chiara a voler segnare la distanza da spettacolarità inutili e per dissolvere le stesse resistenze all’interno delle singole professioni di fede che già all’epoca del primo appuntamento con San Giovanni Paolo II parlarono di “gesto originale di un Papa”.
In ginocchio a pregare il Dio della pace, insieme, “oltre le divisioni delle religioni”, fino a sentire la “vergogna” della guerra e senza “chiudere l’orecchio” al grido di dolore di chi soffre. Lo spirito col quale il Papa è partito per Assisi è stato spiegato da Francesco stesso all’omelia della Messa celebrata prima della partenza in Casa Santa Marta. “Non esiste un Dio di guerra”, ha detto il Pontefice.
Ecco dunque qualche brano dei discorsi tenuti oggi pomeriggio ad Assisi dai rappresentanti di ogni fede.
Vi saluto con grande rispetto e affetto e vi ringrazio per la vostra presenza. Siamo venuti ad Assisi come pellegrini in cerca di pace. Portiamo in noi e mettiamo davanti a Dio le attese e le angosce di tanti popoli e persone. Abbiamo sete di pace, abbiamo il desiderio di testimoniare la pace, abbiamo soprattutto bisogno di pregare per la pace, perché la pace è dono di Dio e a noi spetta invocarla, accoglierla e costruirla ogni giorno con il suo aiuto.
«Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Molti di voi hanno percorso un lungo cammino per raggiungere questo luogo benedetto. Uscire, mettersi in cammino, trovarsi insieme, adoperarsi per la pace: non sono solo movimenti fisici, ma soprattutto dell’animo, sono risposte spirituali concrete per superare le chiusure aprendosi a Dio e ai fratelli. Dio ce lo chiede, esortandoci ad affrontare la grande malattia del nostro tempo: l’indifferenza. E’ un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza.
Non possiamo restare indifferenti. Oggi il mondo ha un’ardente sete di pace. In molti Paesi si soffre per guerre, spesso dimenticate, ma sempre causa di sofferenza e povertà. A Lesbo, con il caro Fratello e Patriarca ecumenico Bartolomeo, abbiamo visto negli occhi dei rifugiati il dolore della guerra, l’angoscia di popoli assetati di pace. Penso a famiglie, la cui vita è stata sconvolta; ai bambini, che non hanno conosciuto nella vita altro che violenza; ad anziani, costretti a lasciare le loro terre: tutti loro hanno una grande sete di pace. Non vogliamo che queste tragedie cadano nell’oblio. Noi desideriamo dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto. Essi sanno bene, spesso meglio dei potenti, che non c’è nessun domani nella guerra e che la violenza delle armi distrugge la gioia della vita.
Noi non abbiamo armi. Crediamo però nella forza mite e umile della preghiera. In questa giornata, la sete di pace si è fatta invocazione a Dio, perché cessino guerre, terrorismo e violenze. La pace che da Assisi invochiamo non è una semplice protesta contro la guerra, nemmeno «è il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. Ma il risultato della preghiera» (Giovanni Paolo II, Discorso, Basilica di Santa Maria degli Angeli, 27 ottobre 1986: Insegnamenti IX,2 [1986], 1252). Cerchiamo in Dio, sorgente della comunione, l’acqua limpida della pace, di cui l’umanità è assetata: essa non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi.
Diverse sono le nostre tradizioni religiose. Ma la differenza non è per noi motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco. Oggi non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri. San Giovanni Paolo II in questo stesso luogo disse: «Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace» (Id., Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1268). Continuando il cammino iniziato trent’anni fa ad Assisi, dove è viva la memoria di quell’uomo di Dio e di pace che fu San Francesco, «ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda» (Id., Discorso ai Rappresentanti delle Religioni, Assisi, 24 gennaio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 104), che ogni forma di violenza non rappresenta «la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione» (Benedetto XVI, Intervento alla Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, Assisi, 27 ottobre 2011: Insegnamenti VII,2 [2011], 512). Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa e non la guerra!
Oggi abbiamo implorato il santo dono della pace. Abbiamo pregato perché le coscienze si mobilitino a difendere la sacralità della vita umana, a promuovere la pace tra i popoli e a custodire il creato, nostra casa comune. La preghiera e la collaborazione concreta aiutano a non rimanere imprigionati nelle logiche del conflitto e a rifiutare gli atteggiamenti ribelli di chi sa soltanto protestare e arrabbiarsi. La preghiera e la volontà di collaborare impegnano a una pace vera, non illusoria: non la quiete di chi schiva le difficoltà e si volta dall’altra parte, se i suoi interessi non sono toccati; non il cinismo di chi si lava le mani di problemi non suoi; non l’approccio virtuale di chi giudica tutto e tutti sulla tastiera di un computer, senza aprire gli occhi alle necessità dei fratelli e sporcarsi le mani per chi ha bisogno. La nostra strada è quella di immergerci nelle situazioni e dare il primo posto a chi soffre; di assumere i conflitti e sanarli dal di dentro; di percorrere con coerenza vie di bene, respingendo le scorciatoie del male; di intraprendere pazientemente, con l’aiuto di Dio e con la buona volontà, processi di pace.
Pace, un filo di speranza che collega la terra al cielo, una parola tanto semplice e difficile al tempo stesso. Pace vuol dire Perdono che, frutto della conversione e della preghiera, nasce dal di dentro e, in nome di Dio, rende possibile sanare le ferite del passato. Pace significa Accoglienza, disponibilità al dialogo, superamento delle chiusure, che non sono strategie di sicurezza, ma ponti sul vuoto. Pace vuol dire Collaborazione, scambio vivo e concreto con l’altro, che costituisce un dono e non un problema, un fratello con cui provare a costruire un mondo migliore. Pace significa Educazione: una chiamata ad imparare ogni giorno la difficile arte della comunione, ad acquisire la cultura dell’incontro, purificando la coscienza da ogni tentazione di violenza e di irrigidimento, contrarie al nome di Dio e alla dignità dell’uomo.
Noi qui, insieme e in pace, crediamo e speriamo in un mondo fraterno. Desideriamo che uomini e donne di religioni differenti, ovunque si riuniscano e creino concordia, specie dove ci sono conflitti. Il nostro futuro è vivere insieme. Per questo siamo chiamati a liberarci dai pesanti fardelli della diffidenza, dei fondamentalismi e dell’odio. I credenti siano artigiani di pace nell’invocazione a Dio e nell’azione per l’uomo! E noi, come Capi religiosi, siamo tenuti a essere solidi ponti di dialogo, mediatori creativi di pace. Ci rivolgiamo anche a chi ha la responsabilità più alta nel servizio dei Popoli, ai Leader delle Nazioni, perché non si stanchino di cercare e promuovere vie di pace, guardando al di là degli interessi di parte e del momento: non rimangano inascoltati l’appello di Dio alle coscienze, il grido di pace dei poveri e le buone attese delle giovani generazioni. Qui, trent’anni fa San Giovanni Paolo II disse: «La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale» (Discorso, Piazza inferiore della Basilica di San Francesco, 27 ottobre 1986: l.c., 1269). Assumiamo questa responsabilità, riaffermiamo oggi il nostro sì ad essere, insieme, costruttori della pace che Dio vuole e di cui l’umanità è assetata.
Fratelli e Sorelle, Questo Appuntamento Internazionale che ha permesso l’incontro di tutti noi, ci ha dato ancora una volta la possibilità di guardarci negli occhi, di parlarci francamente, di ascoltarci l’un l’altro, di godere delle ricchezze gli uni degli altri, e fondamentalmente di essere “Amici”. E avendo questo amicizia, che è un vero amore disinteressato l’uno per gli altri, la nostra sete di pace trova il suo conforto. Dissetati, perché la pace è libera, profonda, intrinseca nel cuore di ogni essere umano, a immagine e somiglianza di Dio per i credenti, o formanti la famiglia umana anche per le culture ed il pensiero laico.
Non abbiamo infatti solo commemorato un evento straordinario tenutosi dai nostri predecessori trenta anni orsono, ma abbiamo rinnovato il nostro impegno per la pace con uno spirito nuovo, in Amicizia, con gesti coraggiosi, aprendo nuove vie al dialogo e alla collaborazione tra le Culture e le grandi Famiglie Religiose del mondo.
La Pace tuttavia ha bisogno di alcuni cardini portanti perché possano sorreggerla, anche quando essa viene messa in pericolo.
Non ci può essere pace senza rispetto e riconoscimento reciproco, non ci può essere pace senza giustizia, non ci può essere pace senza una collaborazione proficua tra tutti i popoli del mondo.
In questi anni stiamo rivedendo maggioranze etniche, religiose, culturali che intravedono nelle minoranze a loro connesse, un corpo estraneo, pericoloso per la propria integrità e quindi da emarginare, da espellere e alle volte purtroppo anche da annientare. Vediamo minoranze che, per paura di scomparire, si chiudono nel loro ghetto, che hanno paura del confronto, che troppe volte diventano a loro volta violente. E questo provoca sconforto, provoca migrazione di massa e crea problemi di accoglienza, di solidarietà, di umanità.
Ma la pace necèssita anche di giustizia. Giustizia è una rinnovata economia mondiale, attenta ai bisogni dei più poveri; è osservare la condizione del nostro pianeta, la salvaguardia del suo ambiente naturale, che è opera di Dio per i credenti, ma che è Casa Comune per tutti. Significa anche salvaguardare le tradizioni culturali, religiose, artistiche, di ogni popolo della terra. Significa avere la capacità di una solidarietà che non è assistenza, ma è sentire il bisogno, il dolore e la gioia dell’altro, come nostro proprio. Giustizia è essere coerenti con quanto professiamo e crediamo, ma capaci di dialogo con l’altro, capaci di vedere le ricchezze dell’altro, capaci di non sopraffare l’altro, capaci di non sentirci superiori o inferiori del nostro prossimo. Giustizia è far sì che ognuno continui a vivere nella terra dei propri avi, in pace e amore, che possa tornare al suo focolare domestico per la crescita della società umana.
Quindi la pace nasce dalla conoscenza e dalla collaborazione reciproca. Come Fedi, come Culture Laiche, come Esseri Umani dobbiamo oggi rilanciare tutto questo, in modo nuovo, con gesti nuovi.
Tuttavia crediamo indispensabile, ritornando nelle nostre case, che ogni Famiglia Religiosa, ogni Cultura, – in questo preciso momento storico – abbia necessità di guardare in se stessa; crediamo sia necessario, nel rispetto di ogni credo religioso o laico, una autocritica e una autoanalisi. Dobbiamo essere capaci di chiederci dove forse abbiamo sbagliato, o dove non siamo stati sufficientemente attenti, perché sono sorti i fondamentalismi che minacciano non solo il dialogo con gli altri, ma anche il dialogo all’interno di ognuno di noi, la nostra stessa coesistenza. Dobbiamo essere capaci di isolarli, di purificarli, alla luce delle nostre fedi, di trasformarli in ricchezza per tutti.
Se sapremo fare questo allora il dialogo diventerà reale, vitale, perché la collaborazione non sarà sopraffazione, ma possibilità di intervenire insieme nella storia, possibilità di scrivere insieme i suoi destini. Abbiamo il dovere di impegnarci assieme nella salvaguardia di ogni Essere Umano dal suo concepimento alla sua fine naturale, rispettando ogni fase della sua vita. Abbiamo il dovere di impegnarci per salvaguardare la nostra Casa comune e tutto ciò che vi è in essa. Perché Dio, nella sua creazione non ha voluto una sola pianta, un solo animale, un solo uomo, un solo pianeta, una sola stella, ne ha voluti tanti, diversi, ognuno con la sua specificità e la sua peculiarità, tutti interconnessi in una comunione di intenti e di amore. E’ questa la ricchezza che noi dobbiamo annunciare, salvaguardare e vivere insieme.
Santità, onorevoli rappresentanti della comunità di sant’egidio, amici tutti,
E’ un grande onore per me portare la voce dell’Islam in questa piazza, dove uomini e donne di ogni fede, sono uniti da una autentica sete di pace.
In un tempo difficile come quello che stiamo vivendo, che ha sete di pace, ma vive il dramma della violenza e del terrorismo, abbiamo bisogno più che mai dell’unione degli uomini e le donne delle religioni, per costruire un mondo pacificato. Per questo, da anni, percorriamo la via del dialogo, e della cooperazione tra credenti, nello spirito di Assisi. In questi incontri, promossi dalla comunità di Sant’Egidio, a cui partecipo da tanti anni, abbiamo sviluppato un dialogo della vita, che sta dando frutti concreti di collaborazione per la pace.
Uno di questi frutti è stato il lavoro comune tra la Muhammaddiyah, una delle più grandi associazioni musulmane, di cui sono stato presidente per dieci anni, e la Comunità di Sant’Egidio, nel processo di pace nella regione di Mindanao, nel sud delle Filippine. L’Indonesia, che è la nazione con la più vasta popolazione musulmana del mondo, ne dà testimonianza: siamo un paese fondato sulla dottrina del Panchasila, ovvero l’unità nella diversità delle etnie, delle religioni, delle culture. Non crediamo che le differenze siano un motivo di divisione, ma al contrario quelle differenze diventano fonte della nostra ricchezza. Crediamo nel pluralismo che è nel cuore dell’Islam.
L’islam – voglio ripeterlo qui, solennemente oggi – è una religione di pace. Dio ha creato gli uomini diversi, dice il Santo Corano, perché possano apprezzarsi e arricchirsi delle differenze.
Oggi, ci sono gruppi che usano il nome dell’islam per perpetrare azioni violente, ed è responsabilità di noi musulmani lavorare insieme per mostrare a tutti il vero volto della nostra fede. Per questo dobbiamo nuovi campi di collaborazione e cooperazione e particolarmente lavorare nelle comunità fianco a fianco, con i giovani, per prevenire l’insorgere di fenomeni di fanatismo e di violenza.
Oggi, mentre ricordiamo questo cammino di trenta anni di dialogo e di amicizia, guardiamo al futuro insieme e affermiamo che questo è il nostro compito e il nostro impegno: porteremo questo spirito di Assisi nelle vie dei nostri paesi, lo insegneremo ai giovani, per promuovere un mondo plurale, ricco delle nostre differenze. Questa è la nostra via per la pace e la percorreremo insieme a voi.
Sono Koei Morikawa, Tendaizasu, il 257° sacerdote patriarca del buddismo Tendai. Vengo da un luogo sacro del buddismo giapponese, il Monte Hiei, situato vicino a Kyoto, in Giappone. L’incontro di preghiera per la pace dei leader religiosi mondiali promosso da Sua Santità il papa Giovanni Paolo II ebbe inizio 30 anni fa. Si è tenuto in tanti luoghi dell’Europa e oggi è tornato al suo punto di partenza, Assisi. È una delle occasioni più felici dei 91 anni della mia vita poter pregare con i leader religiosi mondiali, e con tutti voi, riuniti qui in questo evento per le persone che hanno bisogno di sostegno.
La storia ci ha mostrato che la pace conseguita con la forza sarà rovesciata con la forza. Noi dovremmo sapere che la preghiera e il dialogo non sono la via più lunga, ma la più breve per arrivare alla pace. Non possiamo, tuttavia, sottovalutare la corrente di movimenti mondiali che divide il dialogo dall’unità e dalla cooperazione ed esige isolamento e potere. Questa tendenza può produrre odio auto-centrato, rabbia e pure antipatia.
Buddha l’Illuminato ci ha insegnato che “l’odio non è cancellato dall’odio; l’odio può essere cancellato soltanto abbandonando l’odio”. Saicho, il fondatore del buddismo Tendai in Giappone, ci insegna a curare l’odio con la virtù, e San Francesco d’Assisi ci insegna a portare l’amore dove esiste l’odio.
Per creare un mondo virtuoso e di amore laddove esistono l’inimicizia e l’odio, noi, religiosi, dobbiamo pregare insieme mano nella mano e continuare a fare del nostro meglio. Da questo punto di vista, la presenza di Sua Santità ci incoraggia tutti.
Il prossimo anno sarà il 30° da quando abbiamo iniziato l’”Incontro di preghiera la pace dei leader religiosi mondiali” che si tiene sul Monte Hiei, in Giappone, nello spirito di Assisi. Io prego sinceramente che le preghiere ininterrotte da parte delle varie organizzazioni da Est a Ovest con l’obiettivo di unire l’umanità arriverà a Dio e Buddha con certezza. Grazie molte per la vostra attenzione.
Gassho (preghiera con le palme unite)
Era insegnante prima della guerra. E’ giunta in Italia attraverso i “Corridoi umanitari” nel maggio del 2016.
Vengo da Aleppo, la città martire in Siria. Aleppo, quando pronuncio questo nome, mi si stringe il cuore; mi ricordo dove sono nata, cresciuta e dove mi sono sposata.
Mi tornano alla mente i tanti amici musulmani e cristiani. Ora si fanno differenze tra cristiani e musulmani, ma prima della guerra non c’erano differenze. Ognuno di noi praticava le proprie religioni in una terra che formava un mosaico attraverso le differenti culture, lingue e religioni.
Poi è scoppiata la guerra, non so ancora bene perché. Hanno cominciato a piovere missili che distruggevano le case. Sento ancora le grida di un padre, di una madre o le urla dei bambini che cercano i loro genitori.
Quando i pesanti bombardamenti erano vicini alle nostre case, ci incontravamo con il vicinato condividendo il pane e l’acqua, i beni più preziosi che mancano durante la guerra, ci incoraggiavamo a vicenda e pregavamo. La preghiera: l’unico sostegno per noi, ripetevamo sempre la parola di Gesù che dice: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e vi ristorerò”.
Abbiamo resistito tre anni nella speranza che la guerra finisse, abbiamo vissuto in miseria, poi hanno bombardato la casa della mia famiglia, e alla fine abbiamo deciso di lasciare la Siria e siamo giunti in Libano. Siamo diventati rifugiati, insieme a migliaia di siriani. Abbiamo dovuto lasciare tutto, ho portato con me anche i miei genitori anziani, non sarei mai partita senza di loro. E’ il secondo esodo che compiono le nostre famiglie in 100 anni.
In Libano siamo rimasti per due anni e poi abbiamo conosciuto degli angeli che ci hanno parlato dei corridoi umanitari e della possibilità di vivere in pace. Ora vivo in Toscana e cerco di integrarmi in questo bel paese, l’Italia, in cui sono arrivata da quattro mesi.
Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno lavorato per il nostro bene, per averci ridato il sorriso che avevamo perso a causa della guerra.
A voi tutti, uomini di religione e a lei, Sua Santità, a nome del popolo siriano, chiediamo una preghiera perché la pace e l’amore tornino presto in Siria e in ogni parte del mondo.
Dialogo e preghiera sono i capisaldi di questo incontro, organizzato con il desiderio di promuovere tra le genti una convivenza mite, riconciliata, libera. Volevamo offrire al mondo intero un messaggio di misericordia e di pace condiviso dalle religioni e dagli uomini di buona volontà. Non so se ci siamo riusciti. La storia darà il suo giudizio, in termini di sviluppo o di declino dell’umanità.
Tuttavia, possiamo azzardare una lettura “profetica” a partire dall’esperienza di frate Francesco piccolino, che nel 1219 a Damietta incontrò il sultano Malik al-Kamil.
Dialogo. Umile nel contegno, più umile nel sentimento, umilissimo nella propria stima… (2Cel 140: FF 724): questo l’uomo, come è descritto dal Celano, che si reca a Damietta. L’umiltà consente di trasmettere e di percepire l’Infinito, l’Assoluto, l’Eterno, dinanzi al quale tutti siamo nulla, un soffio, di pari dignità. Gli umili si rispettano, si apprezzano, si valorizzano vicendevolmente.
Preghiera. Ancora il primo biografo scrive di Francesco che egli era non tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera (2Cel 95: FF 682). Chi attinge continuamente alla vita spirituale ha cuore per accogliere gli altri, i diversi, perché li riconosce così simili a sé nelle profondità misteriose dell’essere da sentirsi una cosa sola con loro.
A questo punto, è semplice la profezia. Il mondo conoscerà una fase di sviluppo se chi è qui non è in cerca di gloria, non si ritiene migliore degli altri e non considera la propria religione, il proprio gruppo di appartenenza o la propria cultura superiore alle altre. Chi mi sta di fronte ha sempre qualcosa più di me, qualcosa che io non possiedo. Senza umiltà il confronto tra noi, quello di oggi e quello di domani, è solo un compromesso per mantenere l’uno il potere sull’altro.
Infine, chi è venuto qui, più o meno consapevolmente è un uomo pronto a morire per la pace. Lo sono gli amici che garantiscono la sicurezza per tutti noi. Grazie! Sono pronti a morire per la pace anche coloro che sono qui in servizio a diverso titolo, come puregli invitati e quanti sono venuti di spontanea volontà. Grazie a tutti!
Ma quando si passa dall’essere pronti all’atto di morire per la pace? Credo che senza la preghiera non possa avvenire questo passaggio. Chi si abbevera alle sorgenti dello spirito vede scomparire dal cuore la paura della morte e sa rinunciare alle proprie ragioni, aprirsi al perdono, fare del bene a chi gli fa del male, sottomettersi a tutti per amore.
Il valore profetico dell’incontro che oggi si conclude dipende da ciò che farà ciascuno di noi domani. Il Signore vi dia pace.
La Chiesa di Assisi vi abbraccia con affetto mentre rivive l’emozione di quella grande profezia posta trent’anni fa in questa piazza da san Giovanni Paolo II: la profezia dello “spirito di Assisi”. Uno spirito di preghiera, di concordia e di pace, che vuole essere una risposta ad un mondo intristito da tante guerre che talvolta, impropriamente, anzi in modo blasfemo e satanico, agitano vessilli religiosi. In questa Assisi in cui il giovane Francesco prese le distanze dallo spirito del mondo per essere tutto di Cristo e dei fratelli, divenendo uomo di pace, la nostra riflessione e la nostra preghiera hanno gridato ancora una volta un no alla cultura della guerra e un sì alla cultura della pace.
Cultura della pace che Lei, Santo Padre, ci ha insegnato quest’anno a declinare come cultura della misericordia. Ossia una cultura dell’amore che sa prendersi cura, intenerirsi e perdonare, secondo la beatitudine evangelica: “Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia”.
In questi giorni, professando e testimoniando le nostre convinzioni religiose, nell’ascolto rispettoso di quelle altrui, abbiamo fatto una vera esperienza di amicizia. Occorre procedere oltre. La nostra amicizia vuol essere un contributo a una politica della fraternità su scala globale.
È possibile che l’umanità si senta una sola famiglia? Noi credenti pensiamo di sì, e per questo operiamo, nella ricerca di ciò che ci unisce, andando oltre ciò che ci divide. L’esempio di Francesco di Assisi ci è di grande aiuto. Lo “spirito di Assisi” ha a che fare con la sua vita e il suo messaggio. La stessa forma del suo saluto – “Il Signore ti dia la pace” – non era solo un augurio, ma una preghiera per la pace. Esprimeva la convinzione che la pace vera è dono dall’alto, senza nulla togliere alla nostra responsabilità. Guardi, Dio che è misericordia, alla “sete di pace” del nostro mondo. A Lei, Santo Padre, e a tutti i presenti, un fraterno abbraccio e un augurio di pace.
Le vostre Santità, Illustri rappresentati delle religioni del mondo, ci sono momenti belli, come stasera: si vede la pace nel cuore di tante religioni e persone. E’ consolante per chi ha sete di pace: popoli in guerra, in fuga dalla violenza o dal terrorismo, prigionieri, torturati, madri che vedono soffrire i figli, poveri e impoveriti dalla guerra. Le religioni sono davvero fontane di speranza per chi ha sete di pace.
Grazie, allora, a tutti voi, agli amici di Assisi, a Papa Francesco che cammina con i cercatori di pace.
Che i leader religiosi si mostrino assieme, invocando la pace, è un’immagine luminosa. Smaschera chi usa il nome di Dio per far la guerra e terrorizzare. Così fu trent’anni fa, nel 1986, quando Giovanni Paolo II ebbe il coraggio di un invito a chi, per millenni, era considerato estraneo. Tanti risposero. Non doveva essere un fatto isolato, come volevano alcuni prudenti: una santa stravaganza del papa. Un evento possibile solo in un’Assisi bella e cara come un presepe? Oppure solo in aule universitarie o sale-convegno? Non era così. L’evento è diventato storia: di città, periferie, popoli, anno dopo anno, sporcandosi di fango e dolore, ma anche caricandosi di attese e speranze.
Sono trent’anni che camminiamo in questo spirito per il mondo. Abbiamo capito che ogni comunità religiosa, che prega, può liberare energie di pace. Dal 1986, le acque della pace sono debordate dalle fontane delle religioni, mischiandosi tra di loro per spegnere i conflitti. E’ lo spirito di Assisi. Quante storie! Ricordo il vescovo siriaco, Mar Gregorios. Qui nel 1986 e poi sempre con noi: credeva nel vivere insieme. Vescovo di Aleppo, città di convivenza interreligiosa, patrimonio dell’umanità dal 1986. Nell’aprile 2013, uscì da Aleppo con il vescovo Yazigi per una missione umanitaria. Non sono più tornati.
Aleppo bombardata è ora un cumulo di macerie con scheletri di palazzi, dove abita la gente. Quanta sete di pace in Siria! Lì hanno fatto cinicamente la guerra, concentrando armi di ogni tipo: hanno ucciso la convivenza. Perché la guerra è follia di gente avida di potere e denaro.
Quando si conosce il dolore della guerra, appare però un ideale per cui vivere: la pace. Molti lamentano oggi la perdita d’ideali e valori: ma c’è la pace! Non è riservata a politici, specialisti, militari: tutti possono essere artigiani di pace con la forza debole della preghiera e del dialogo. Così si sconfiggono i signori della guerra e gli strateghi.
Dalle religioni, senza confusione ma senza separazione, può sgorgare un popolo di artigiani di pace. Era il sogno dell’86. Le religioni sono chiamate a maggiore audacia: fuori dagli schemi ereditati dal passato, dalle timidità e dalla rassegnazione. Tutti dobbiamo essere più audaci, perché il mondo ha sete di pace. Bisogna eliminare per sempre la guerra che è la madre di ogni povertà. Come è stato fatto con la schiavitù.
L’audacia della pace è preghiera e dialogo. Il dialogo –diceva l’umile teologo ortodosso, Olivier Clément- “è la chiave della sopravvivenza del pianeta, in un mondo in cui si è dimenticato come la guerra non sia mai la soluzione chirurgicamente pulita che permette di espellere il male dal mondo. Il dialogo è il cuore della pace…”.
Il dialogo svela che la guerra e le incomprensioni non sono invincibili. Niente è perduto con il dialogo. Tutto è possibile con la pace!
Nel 1943, ero un bambino di 7 anni, fui deportato nei campi di concentramento. Dal 1973 sono Rabbino nei pressi di Tel Aviv. Quest’anno partecipo per la decima volta a questo incontro meraviglioso. Sono profondamente grato e impressionato per tutto quello che Sant’Egidio ha fatto per me e per il mondo. Grazie a loro ho avuto anche la possibilità di incontrare il mio caro amico, il Santo Padre. Da Rabbino uso il termine “Santo” perché Maimonide dice che la virtù più grande è l’umiltà e l’umiltà è segno di santità.
Ho visto in papa Francesco un chiaro esempio di umiltà e santità per il nostro tempo così come San Francesco fu per il suo tempo.
Molte volte ho parlato ai giovani perché chi non conosce la storia è condannato a ripeterla. Per me lo spirito di Assisi è il miglior esempio di umiltà e santità ed è la risposta alla tragedia della Shoah e di tutte le guerre. Perché qui noi diciamo al mondo che è possibile diventare amici e vivere insieme in pace anche se siamo differenti.
Sono diventato parte di questo spirito unico da anziano: TUTTI DIFFERENTI MA TUTTI INSIEME con il coraggio del dialogo, per prevenire ogni conflitto e creare un mondo umano dove ciascuno possa riconoscere nell’altro l’immagine di Dio.
A chiusura della intensa giornata l’Appelo finale di tutti i capi religiosi presenti alla 30^ edizione della Giornata di Preghiera di Assisi:
APPELLO DI PACE
Uomini e donne di religioni diverse, siamo convenuti, come pellegrini, nella città di San Francesco. Qui, nel 1986, trent’anni fa, su invito di Papa Giovanni Paolo II, si riunirono Rappresentanti religiosi da tutto il mondo, per la prima volta in modo tanto partecipato e solenne, per affermare l’inscindibile legame tra il grande bene della pace e un autentico atteggiamento religioso. Da quell’evento storico, si è avviato un lungo pellegrinaggio che, toccando molte città del mondo, ha coinvolto tanti credenti nel dialogo e nella preghiera per la pace; ha unito senza confondere, dando vita a solide amicizie interreligiose e contribuendo a spegnere non pochi conflitti. Questo è lo spirito che ci anima: realizzare l’incontro nel dialogo, opporsi a ogni forma di violenza e abuso della religione per giustificare la guerra e il terrorismo. Eppure, negli anni trascorsi, ancora tanti popoli sono stati dolorosamente feriti dalla guerra. Non si è sempre compreso che la guerra peggiora il mondo, lasciando un’eredità di dolori e di odi. Tutti, con la guerra, sono perdenti, anche i vincitori.
Abbiamo rivolto la nostra preghiera a Dio, perché doni la pace al mondo. Riconosciamo la necessità di pregare costantemente per la pace, perché la preghiera protegge il mondo e lo illumina. La pace è il nome di Dio. Chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra, non cammina nella Sua strada: la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione stessa. Con ferma convinzione, ribadiamo dunque che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso.
Ci siamo posti in ascolto della voce dei poveri, dei bambini, delle giovani generazioni, delle donne e di tanti fratelli e sorelle che soffrono per la guerra; con loro diciamo con forza: No alla guerra! Non resti inascoltato il grido di dolore di tanti innocenti. Imploriamo i Responsabili delle Nazioni perché siano disinnescati i moventi delle guerre: l’avidità di potere e denaro, la cupidigia di chi commercia armi, gli interessi di parte, le vendette per il passato. Aumenti l’impegno concreto per rimuovere le cause soggiacenti ai conflitti: le situazioni di povertà, ingiustizia e disuguaglianza, lo sfruttamento e il disprezzo della vita umana. Si apra finalmente un nuovo tempo, in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli. Si attui la responsabilità di costruire una pace vera, che sia attenta ai bisogni autentici delle persone e dei popoli, che prevenga i conflitti con la collaborazione, che vinca gli odi e superi le barriere con l’incontro e il dialogo. Nulla è perso, praticando effettivamente il dialogo. Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace; da Assisi rinnoviamo con convinzione il nostro impegno ad esserlo, con l’aiuto di Dio, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volontà.
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