Sulla “Assemblea della vergogna” del 17 dicembre della Spoleto Credito e servizi, già controllante della Popolare di piazza Pianciani, è arrivato il verdetto del Gip: tutti gli indagati vanno processati. E’ quanto ha stabilito il giudice Federica Fortunati dopo tre ore di Camera di consiglio che ha così accolto la richiesta della procura, rappresentata oggi in aula dal pm Massimo Casucci (le indagini furono condotte dalla Sostituto Mara Pucci). Dunque il 7 maggio prossimo si aprirà il processo nei confronti dei 7 imputati (stralciate le posizioni di Panbianco e Caparvi nel frattempo deceduti) accusati a vario titolo di ingiuria, minaccia, condotta fraudolenta e falso ideologico: si tratta dell’ex dominus Bps-Scs Giovannino Antonini, sua moglie Nadia Tiberi, l’editore perugino Gigi Piccolo, il notaio Marco Pirone e il collegio sindacale (Mallardo, Cerbella e Rossi).
L’inchiesta, come si ricorderà, scaturì dalla denuncia dell’ex vicepresidente vicario Scs Danilo Solfaroli che denunciò la condotta dei lavori assembleari che consentirono ad Antonini di ritornare in sella alla holding evitando così il voto di sfiducia dei consiglieri ‘ribelli’ (Protasi, Solfaroli, Cucchetto e Raggi). A sorpresa finisce dunque a processo anche il revisore Rossi che si oppose alla decisione degli altri due revisori che convocarono l’assemblea.
Le carte e le accuse per l’Assemblea della vergogna
Una denuncia, quella di Solfaroli, che si è già costituito nel processo, che per alcuni aspetti trovò conferme nel video che Tuttoggi.info scoprì e pubblicò qualche mese dopo.
VIDEO – Il blitz, Assemblea della vergogna tra insulti, spinte e sputi
Dunque anche per il Gip, così come per la Procura, l’assemblea fu ‘viziata’ da condotte che contribuirono “ad occultare fatti da cui derivavano sia responsabilità penali, sia la formazione di una illecita delibera assembleare di nomina del nuovo consiglio di amministrazione”.
Quel Cda – dove con Antonini furono eletti Leodino Galli, Marco Bellingacci, Rodolfo Valentini, Pasquale Coreno e Gianfranco Binazzi – sarebbe quindi illegittimo (il Tribunale civile deve ancora esprimersi sulla vicenda impugnata dai ex membri del board).
Chissà, forse se tutti avessero rispettato le regole (anche la maggioranza dei soci che preferì girare la testa e alzare la mano per il nuovo cda), oggi la situazione sarebbe stata diversa. Di certo, da quel 17 dicembre 2011, la storia della cooperativa e della sua controllata di punta, la Banca popolare, segnò un grave declino fino al Commissariamento di Bankitalia. Con la conseguenza, da una parte, della vendita dell’istituto a Banco Desio, dall’altra, della recente elezione del nuovo cda Scs chiamato al difficile compito di scongiurare il default della cooperativa.
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Il processo di primo grado, durato 10 anni, ha visto alcune posizioni cadere in prescrizione e altre essere stralciate. La conclusione sugli altri capi di imputazione è stata di assoluzione per tutti gli imputati coinvolti.