Di e con Ascanio Celestini e Gianluca Casadei approda anche a Perugia “Pueblo”. La pièce tornerà, grazie alla programmazione del Teatro Stabile dell’Umbria, al Teatro degli Illuminati di Città di Castello il 23 marzo. Un racconto, un’opera fiume, con Celestini sul palco pronto a stupire, a far ridere e sorridere il suo pubblico per un’ora e mezzo. Senza mai fermarsi, accompagnato dai suoni di Andrea Pesce.
Lo spettacolo
Una scenografia essenziale, che ritrae l’interno di una casa. Un’abitazione che potrebbe essere quella di chiunque tra noi: è qui che è ambientata “la storia di un giorno di pioggia. O meglio è la storia di un giorno. Che poi sono tutti i giorni“. Comincia così lo spettacolo di Ascanio Celestini, teso a ritrarre, come da tradizione per l’artista, uno spaccato dei margini della società. In ogni momento, lo spettatore è invitato a identificarsi con i protagonisti di “Pueblo”, in un racconto di importante attualità, che tocca temi tra i più disparati: la religione, le migrazioni, la povertà.
Così come la storia di Violetta, che fa la pipì prima di mettersi seduta come le bambine prima di mettersi in viaggio. Il suo papà e la sua mamma le dicono “Violetta, hai fatto la pipì?”. Lei la fa e monta in macchina. Poi la storia della cassiera, che sul suo seggiolino diventa la regina in trono. “I clienti depositano salami e formaggi, pasta olio burro e pizze surgelate, tranci di pesce africano e bistecche di montone americano, litri di alcol in confezioni di tutti i generi, vetro, plastica, tetrapak, alluminio. Io mi figuro che non sono i clienti, ma sudditi. Sudditi gentili che mi vengono a regalare le cose. Sudditi che dicono “Prego signora regina prenda questo baccalà congelato, questi biscotti per diabetici. Prego prenda questo vino nel tetrapak, sono tre litri, è prodotto da qualche parte in Francia o Cina. Prego…” E io dico “Grazie, grazie, grazie”.
Come la storia dello zingaro di otto anni che fuma sigarette, di Said che gioca ai videopoker e resta senza soldi, della vecchia del bar e il sapore del cappuccino decaffeinato. Le storie prendono vita e forma quasi in un monologo, in maniera mai ripetitiva o banale, sempre con un dettaglio in più che aiuta a tracciare l’affresco di vite vissute.
I protagonisti
Il titolo di Celestini, che ricordiamo essere “Pueblo”, è evocativo di per sé: è forte, infatti, in numerosi passaggi della pièce, l’importanza del ruolo delle persone, diverse, ma simili tra loro, per provenienza, razza, propensioni. Nelle storie di Celestini c’è il bar, il supermercato, le strade, le case dirimpetto a quella rappresentata sul palcoscenico. E ci sono le persone, il “Pueblo” appunto, che, anche inconsapevolmente, incrociano il destino degli altri lungo il loro stesso cammino. Accanto al “Pueblo” c’è la periferia, urbana come morale e della società, che diventa intima per le storie di ogni singolo personaggio.
E sul palco c’è anche Pietro, un referente che in realtà non è fisicamente presente, ma le cui parole sono scandite dalla fisarmonica gentile di Gianluca Casadei. Pietro ascolta i racconti di vite vissute, un fiume di storie che Celestini pronuncia senza mai fermarsi. Un attore poeta, in grado di farsi carico della missione di svelare le maschere altrui nel grande varietà che è la vita.
©Riproduzione riservata