Chiede di tornare libero Emanuele Armeni. Nell’istanza presentata dall’avvocato Michele Montesoro, è spiegato che il suo assistito – in carcere per l’omicidio volontario del collega Emanuele Lucentini – vorrebbe ottenere gli arresti domiciliari, con l’uso del braccialetto elettronico. Il legale motiva la richiesta spiegando che la condizione di Armeni farebbe venir meno le tre esigenze di custodia in carcere: non potrebbe inquinare le prove, o darsi alla fuga o commettere reiterazione del reato.
Al primo turno la Corte d’assise d’appello ha stabilito che l’istanza di sostituzione della misura cautelare era inammissibile per un difetto di notifiche (l’istanza non era stata inoltrata anche alla moglie della vittima, persona offesa nel processo). Non solo, ma ad opporsi era stata anche la procura generale. Ma la difesa di Armeni, ha tentato nuovamente ripresentando l’istanza.
Armeni comparirà davanti alla Corte di assise d’appello presieduta dal giudice Giancarlo Massei il 21 giugno. Anche i familiari della vittima hanno depositato le proprie motivazioni contro l’esclusione, da parte del Gup, delle aggravanti (premeditazione e aver aver agito mentre era in servizio) per l’imputato. La procura di Spoleto diretta da Alessandro Cannevale aveva già presentato ricorso per Cassazione (non potendo impugnare una sentenza in appello) ma le questioni sollevate dalla magistratura saranno riunite all’appello proposto dall’avvocato Michele Montesoro, che assiste il carabiniere condannato.
Armeni è stato condannato per aver sparato a Lucentini nel piazzale della caserma di Foligno al rientro da un turno di notte. L’accusa e il Gup che lo ha giudicato nell’ambito del rito abbreviato, non hanno mai creduto alla tesi difensiva con la quale l’Armeni ha sempre dichiarato che la morte del carabiniere di Tolentino fosse frutto di un drammatico incidente. Ma il giudice ha escluso l’aggravane della premeditazione, “ritenendo di non essere in grado di sapere quando sarebbe insorta la determinazione di Armeni di uccidere il commilitone”, ma secondo le parti civili – rappresentate dall’avvocato Giuseppe Berellini – la premeditazione consiste proprio nell’avere scelto “il momento più conveniente”. Parti civili e accusa sollevano quindi le stesse richieste sostenendo “la sussistenza dell’omicidio aggravato dalla premeditazione del colpevole”. Per cui la famiglia della vittima chiede al Procuratore della Repubblica di inasprire la pena detentiva. Anche perché nell’impugnare il giudizio di primo grado fanno riferimento anche all’esclusione dell’aggravante dell’“omicidio contro persona qualificata”, in altre parole, quando è stato ucciso “Lucentini era un pubblico ufficiale nel pieno svolgimento del suo servizio”.
La difesa di Armeni sosterrà invece la necessità di rinnovare la perizia balistica. L’arma del delitto (M12 s 2 da cui è partito il colpo mortale) è stata elemento chiave della vicenda. “Appare chiaramente inverosimile – era scritto nella sentenza di condanna – che la morte di Lucentini sia avvenuta per un malfunzionamento dell’arma o perché l’Armeni abbia effettuato un colpo di prova prima di inserire la sicura”. Evidentemente la difesa del carabiniere di Castel Ritaldi è pronta a rimettere nuovamente in discussione questo punto.