Nove mesi fa la scoperta di un’area wellness abusiva (con annessa piscina), in una cava dismessa di Casamorcia (Gubbio), aveva portato a ben 7 indagati. Oggi la vicenda torna a galla con nuovi importanti sviluppi.
Questa mattina (9 novembre), infatti, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura di Perugia, i carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico (Noe) con l’ausilio dell’ufficio “Risorse minerarie”, hanno dato esecuzione al sequestro preventivo dell’intera cava, di proprietà dell’indagato che aveva ampliato la propria casa (insistente in quest’area) per creare la Spa. Quest’ultimo – insieme alla società che aveva eseguito lo sbancamento – ha inoltre subito un ulteriore sequestro di 147 mila euro (quale profitto del reato di “inquinamento ambientale“).
Le indagini scaturiscono da un attività iniziata addirittura nel febbraio 2020, quando i carabinieri avevano appurato una serie di irregolarità legate al cosiddetto “riambientamento” della cava di Casamorcia. La ricostruzione degli eventi, aveva infatti evidenziato un’escavazione non autorizzata in un’area sottoposta a vincoli, che aveva permesso al proprietario di cccultare il progetto di un’area wellness con annessi garage e sala macchine all’interno delle mura in cemento armato, che avrebbero dovuto solo sorreggere il fronte della cava.
Nell’area è stata accertata anche l’asportazione di circa 16.500 metri cubi di terra e roccia, che hanno deteriorato il territorio sotto tutela. Gravi le irregolarità constatate nel corso delle indagini, con il lavoro che era stato autorizzato mediante un permesso a costruire rilasciato in violazione delle norme di legge. E’ stata inoltre consentita la realizzazione abusiva di un pozzo ad “uso domestico” in una zona “di tutela assoluta. Altre irregolarità sono emerse anche tra il progetto presentato presso il Servizio regionale competente in materia di deposito sismico è quello presentato al comune di Gubbio
La cava, qualificata come dismessa, poteva essere oggetto di interventi finalizzati al solo recupero ambientale mentre tali opere ne avrebbero determinato un ulteriore deterioramento; come detto, infatti, è stato evidenziato lo scavo di terre e rocce per un totale di 16.500 metri cubi, di cui oltre 13.000 trasportati verso siti sconosciuti; tale volume, che sarebbe dovuto essere trattato al pari di rifiuti, rappresenta il profitto del reato, il cui valore, in caso di commercializzazione, sarebbe corrisposto ai 147 mila euro posti sotto sequestro.
Sono inoltre al vaglio delle indagini le posizioni di ulteriori indagati (che come detto sono 7), dai progettisti dell’intervento a ben due dipendenti comunali, in merito alle autorizzazioni rilasciate in totale difformità di legge.