Umbria Jazz prova a distinguersi, e per aprire le danze al Santa Giuliana-Main Stage manda in scena, per l’apertura dell’edizione 2017, il caleidoscopico concerto dei Kraftwerk. Dall’annuncio della data perugina del mitico gruppo tedesco precursore del Pop elettronico, in molti si sono domandati quanto e come avrebbe potuto avere riscontro un simile show.
La risposta l’ha data il pubblico presente, tra curiosi, accreditati, addetti al settore e molti fans affezionati dell’algida musicalità teutonica, tra gradinata e platea non si arrivava a forse a 2000 persone di cui circa 1700 paganti. Insomma non un numerone. Dimesso, per qualche verso, anche il Back Stage, solitamente super-brulicante di appassionati e consumatori delle ineffabili piadine dai prezzi lisergici. Ieri sera si respirava una strana aria di sottomissione al Dio della prudenza. Molti controlli e ordini di apertura dei varchi che cambiavano di ora in ora, con conseguente disorientamento di una parte degli spettatori.
La storia
I Kraftwerk, per il popolo del Jazz, potrebbero apparire come mitologiche forme di vita, tipo il Proteo delle Grotte di Frasassi. Tuttavia anche loro hanno un senso, nella storia musicale degli ultimi 40 anni.
Formatisi nel 1970, e con una formazione più volte rimaneggiata rispetto a quella della fondazione, nel 1973 hanno la consacrazione definitiva con l’arrivo del pittore Emil Shult che conferirà al gruppo quella immagine asciutta, lineare, dal taglio netto persino spigoloso che li renderà avanguardia rispetto a tutto il resto del mondo musicale. Una sorta di Punk alla rovescia. In una manciata di anni, una decina, compongono tutto ciò che li ha resi famosi e per cui ancora oggi hanno schiere di fans elettrificati. Si va da Radio Activity a Trans Europe Espress, da Autobhan e The Man Machine a The Robots e The Model. Insomma vere e propie hit da classifica. E’ del 1981 l’album Computer World. E poi fino al 1999 abbandoni, rimaneggiamenti, cambio di tecnologia che ormai diventa sempre più sofisticata. Nel 2002 si riparte con una attività di concerti e tour. Nel 2011 il gruppo annuncia l’inizio dei concerti in 3D con i grandi classici completamente rimaneggiati e adattati al tipo di nuovo spettacolo proposto.
Molto curiosa la rincorsa dei Kraftwerk alla nomina nella Rock and Roll Hall of Fame . Tentano senza successo nel 2012, nel 2014 e infine nel 2016. Tutte le nomine vanno a vuoto nella scelta finale. Una sfiga galattica e sopratutto molto pop elettronica.
Lo stile
Sullo stile musicale , qualcuno ha scomodato persino Stockhausen, ma alla fine il gruppo, ha colto egregiamente il sentore di una parte del pubblico di riferimento, quello tedesco, trovando uno stile che all’inizio fu definito Krautrock, andando dietro a improbabili assonanze tra lingua e riferimento regionale. In seguito poi la vera caratteristica dei Kraftwerk è stata la ricerca sulla produzione del suono e quindi anche lo studio dei materiali e dell’amplificazione, oltre che della costruzione di uno spettacolo che rendesse viva quel tipo di musica. Un Pop elettronico, appunto, che di rivoluzionario aveva solo la ingente massa di studio e di ingegneria elettronica a monte del prodotto.
Rimane inalterata la tremenda base di ritmica che anche ieri sera è stata meglio di un digerselz. Quattro botte sotto cassa e sei a posto per sempre. Per trovare qualcosa di appena paragonabile per stile visivo e musicale bisogna andare a scovare i Devo, il famoso gruppo musicale americano degli anni ’70. Ma in quel caso si è passati rapidamente dal Post Punk alla New Wave.
Oggi un concerto dei Kraftwerk è un enorme giocattolone colorato e pieno di effetti speciali dove sul palco troneggiano i 4 attuali membri del gruppo Fritz Hilpert, Henning Schmitz, Falk Grieffenhagen e Ralf Hütter (unico rimasto della formazione originale), che impalati davanti ad un podio XXL armeggiano con una strumentazione sofisticatissima quanto misteriosa, inguainati in una tutina supertechno per la quale proviamo una immensa invidia, tanto è capace di illuminarsi e trasformarsi.
E perchè il tutto sia ovviamente apprezzato al meglio, ai varchi vengono consegnati degli appositi occhialini per la visione in 3D. E’ così che si potrà compiutamente apprezzare la sequenza piaciona di una astronave che dallo spazio individua, uso Google Map, un punto del centro Italia che poi si rivelerà essere l’arena santa giuliana dove il possente mezzo galattico atterrerà di li a poco in un tripudio di gridolini e applausi piacionissimi.
Una invenzione Pop al pari dell’ormai stagionatissimo vezzo rokkettaro di chiedere alla platea individuata per città geografica, “Perugia…siete caldi??”.
Ecco a Perugia ieri sera ci hanno pensato i Kraftwerk a riscaldare il tutto senza parole ma con una efficientissima resistenza elettrica. Altro che strilletti e mossette.
Il top, quando alla fine del concerto il pubblico ha invocato il consueto Bis a cui la band tedesca si è concessa generosamente. Dopo un momento di pausa per l’allestimento, il sipario si è riaperto e sono partiti i primi segnali di The Robot. I 4, questa volta finti- robot al 100% e sistemati secondo l’iconografia classica in camicia rossa, pantaloni grigi e calotta plastificata con la riga, hanno iniziato a muoversi come sospesi in aria con movimenti pseudo-robotici della prima ora.
Oggi siamo molto avanti in termini di intelligenza artificiale. Chissà che non arrivi davvero la pensione anche per i Kraftwerk, quelli di carne e ossa, prima o poi.
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Foto Tuttoggi (Carlo Vantaggioli)