“Continuavo a ripetermi ma io senza intercettazioni come faccio a fare una requisitoria che abbia un filo logico. Mi sono resa conto con stupore che per ciascun capitolo ci sono degli elementi, che io non so se voi riterrete o meno sufficienti, ma ci sono degli elementi già così gravi da farmi dire che effettivamente questa istruttoria non è stata fatta totalmente invano”. Con questa frase tratta dalla lunghissima requisitoria, iniziata questa mattina dal pm Manuela Comodi e che terminerà domani con le richieste della pubblica accusa, viene riassunta “Appaltopoli”, la maxi inchiesta che nel 2008 ha minato la serenità dei pubblici uffici perugini. Un “comitato d’affari”che avrebbe gestito l’assegnazione, previo pagamento di tangenti, degli appalti della Provincia di Perugia. Questo è “appaltopoli” il maxi processo di Perugia che vede imputate a vario titolo 43 persone per i reati di associazione a delinquere, corruzione, turbativa d’asta, abuso d’ufficio, truffa e falso ideologico. Nelle lunghe ore del suo intervento il pm ha ripercorso tutte le fasi delle indagini, condotte dal capo della Mobile Marco Chiacchiera, e tutti i ruoli che secondo l’accusa avrebbero avuto le 54 persone e le 5 aziende coinvolte.
Determinante nel procedimento è stata l’emissione dell’ordinanza con cui il tribunale ha dichiarato inutilizzabili le intercettazioni telefoniche, punto cardine di tutta l’inchiesta. Ma la Procura ha tirato dritto chiedendo anche la revoca dell’ordinanza. Un processo “monco” di fatto senza la possibilità di leggere in aula il contenuto di quelle telefonate “compromettenti” nelle quali, secondo l’accusa, imprenditori, intermediario e funzionari pubblici si accordavano per decidere chi dovesse aggiudicarsi i lavori. Lupini Massimo, Carini Carlo, Mariotti Gino, Piselli Paolo, Bico Dino, Maraziti Adriano, Patumi Fabio e Maria Antonietta Barbieri sarebbero loro, secondo la Procura, a capo di un vero e proprio comitato d’affari che garantiva l’assegnazione di appalti in cambio di mazzette.
Ma se le intercettazioni sono fuori dai giochi, almeno per ora, in mano all’accusa rimangono le testimonianze degli imputati. Come la Barbieri, “imputata, le cui dichiarazioni ci sono servite per introdurre e aiutare a comprendere il sistema con cui venivano predisposte le gare – spiega la Comodi – Le ditte da invitare non erano poi le ditte che partecipavano, che erano molte di meno, anche perchè meno erano le ditte che partecipavano e meno era il lavoro di chi preparava i prospetti del ribasso affinchè vincesse il predestinato. Era importante che fosse contenuta l’impresa che quella gara la doveva vincere”. E allora la Barbieri nella sua dichiarazione precisa ‘Era lui (Lupini) che concordava le ditte con l’ing Marazziti e poi mi arrivavano queste ditte perché se dall’ufficio mio non partivano la gara non si faceva, prima quindi erano concordate. Ero consapevole ma non decisionale, è diverso. Arrivavano da parte dell’ingegnere Lupini le mandava per fax’ – Ma lei come faceva ad essere sicura che le indicazioni di lupini coincidevano con quelle dei dirigenti? Chiede la Comodi- Perchè poi le firmavano”, risponde la Barbieri.
Il Lupini secondo l’accusa “gestiva con la Barbieri e i suoi superiori Maraziti e Patumi, l’assegnazione dei lavori pubblici gestiti dalla Provincia, indicando di volta in volta le imprese da invitare alla gara(…) che ricevevano precise indicazioni sulle offerte da formulare e sulle percentuali di ribasso, e quelli che non avrebbero dovuto presentare offerte. Per poi raccogliere presso il vincitore il compenso da distribuire ai funzionari compiacenti”. E quindi la Comodi ricostruisce un passaggio tra due degli imputati: “Pensavo di fare così così, facciamo le gare per le manutenzioni, così quello che avanza lo spezzettiamo e lo mettiamo in un’altra gara così non sono costretto a giustificare l’utilizzo della trattativa privata (articolo 24)”. “Manutenzione e spezzettamenti – spiega la Comodi – hanno ad oggetti gli stessi comprensori e all’interno degli stessi comprensori si bandisce una gara fino a 300 mila euro per le manutenzioni e si bandisce un’altra gara per gli spezzettamenti e guarda caso gli aggiudicatari di un certo comprensorio coincidono con gli aggiudicatari degli spezzettamenti nello stesso comprensorio. Questo significa che la gara doveva essere una, ma avrebbe comportato l’istituzione di una gara aperta non ad invito ma con il bando, perchè la somma dei lavori messi a gara avrebbe di molto superato i 400 mila euro e invece questo non è stato fatto per le ragioni che abbiamo detto. A conforto della contestazioni non c’è solo la consulenza della Saitta e della Barbieri ma ci sono le testimonianze di Baldelli, Bocci e Mezzasoma”. Domattina si torna in aula con le richieste dell’accusa.