Andra e Tatiana Bucci, sopravvissute al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e testimoni attive della Shoah e dei suoi orrori, sono da oggi (5 aprile) cittadine onorarie di Gubbio.
La cittadinanza alla memoria è stata consegnata dal sindaco Filippo Stirati, durante l’odierno Consiglio comunale, anche al loro cuginetto Sergio De Simone (a ritirarla il fratello Mario, il primo nella foto), vittima a soli 7 anni degli atroci “esperimenti medici” compiuti dal dottor Kurt Heissmeyer, nel campo di concentramento di Neuengamme.
Oggi le sorelle Bucci hanno 85 e 83 anni. Tatiana (2^ da sinistra nella foto) vive a Bruxelles, Andra (4^ da sinistra) tra l’Europa e gli Stati Uniti, e da vent’anni girano per le scuole europee a raccontare la loro storia. Molti gli incontri tenuti a Gubbio, città che da anni le conosce e ha avuto modo di ascoltare i loro racconti. “La cittadinanza onoraria che abbiamo conferito alle sorelle Bucci – ha sottolineato il primo cittadino – rappresenta anzitutto un riconoscimento al legame da anni stabilito con la città, le scuole, la nostra biblioteca e i tanti ragazzi incontrati. Andra e Tatiana Bucci sono testimoni della Shoah che Gubbio sente quanto mai vicine. Sono davvero grato all’Associazione Famiglie 40 Martiri e felice che il Consiglio Comunale abbia scelto all’unanimità di conferire questa cittadinanza così importante e significativa”.
Questa l’importante quanto tremenda testimonianza che le sorelle Bucci raccontano ai giovani, oltre che vissuto sulla loro pelle: “Quella sera del 28 marzo 1944 non la dimenticheremo mai. Eravamo già a letto, erano da poco passate le nove. Mamma Mira venne in camera, ci svegliò e ci vestì in fretta. Quando entrammo in soggiorno c’erano molte persone, una di loro con un cappotto di pelle lungo. Nonna Rosa, inginocchiata davanti a questo uomo, lo implorava di lasciare a casa almeno noi bambini. L’ultimo ricordo è la luce della nostra abitazione. Poi siamo uscite al buio e ci hanno caricati tutti quanti su un blindato”.
Tatiana Bucci aveva 6 anni e sua sorella Andra 4, quando i fascisti e i nazisti le catturarono nella casa di Fiume, allora città italiana, per portarle nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau in Polonia, con tappa intermedia alla Risiera di San Sabba. Figlie di un papà cattolico e di una mamma ebrea, Tatiana e Andra sono due delle 50 bambine e bambini sopravvissuti all’inferno di Auschwitz. Ce l’hanno fatta perché scambiate per gemelle e avrebbero potuto diventare cavie negli esperimenti del terribile dottor Joseph Mengele, medico e criminale di guerra tedesco.
Una volta arrivati al campo di concentramento i Bucci furono tutti separati. La nonna venne uccisa la sera stessa. Mamma e zia finirono in una baracca poco distante dalle due bambine, ma si riuscirono a incontrare poche volte. Insieme al cugino Sergio, che aveva 7 anni, Tatiana e Andra vennero internate in un Kinderblock, il blocco dei bambini destinati alle più atroci sperimentazioni mediche. Il freddo, la fame, i giochi nel fango e nella neve, gli spettrali mucchi di cadaveri buttati negli angoli tornano sempre nei racconti delle due sorelle, che assiduamente partecipano al Treno della Memoria che ogni anno porta a Birkenau migliaia di giovani.
Nove mesi vissuti sullo sfondo di un camino che sputava fumo e fiamme, “unica via da cui si esce se sei ebreo”, ripetevano le guardiane. Tatiana in particolare ricorda la cattiveria delle addette alla sorveglianza della baracca, ma anche i biscotti che le regalò un soldato e le maglie che una blokova, la sorvegliante del lager, donò a entrambe: “Forse anche quelle ci hanno aiutato a non ammalarci. Quella blokova ci ha voluto bene e, per quanto ha potuto, ci ha sempre protette”. Cosa che non è riuscita con il cuginetto Sergio, la cui storia è straziante. Sergio De Simone è infatti passato alla storia per essere l’unico bimbo italiano sottoposto a sperimentazioni in un lager dal medico e criminale Kurt Heissmeyer. Il nazista, entrando nella baracca dei bambini per selezionarli, disse loro: “Chi vuol vedere la sua mamma faccia un passo avanti”. Ai bimbi così selezionati e successivamente trasferiti in un campo di concentramento vicino ad Amburgo, vennero inoculati bacilli della tubercolosi, alla scopo di verificare strampalate teorie. Furono poi tutti barbaramente uccisi e Sergio fu usato per una sperimentazione medica sui linfonodi e ritrovato appeso ad un gancio con le ascelle squartate.
I racconti delle sorelle Bucci, come tutti i racconti di chi è stato bambino in quelle atroci circostanze, sono fatti di morte e orrore. Una morte che tragicamente diventa normalità, come “normali” sono le cataste di cadaveri attorno ai quali giravano i bambini, le selezioni periodiche, il fumo dal camino. “C’eravamo io e Andra, sempre attaccate l’una all’altra, come per proteggerci. E ci sembrava perfettamente naturale non vedere più la mamma, o patire costantemente il freddo. In altre parole, avevamo costruito un senso di normalità per difenderci dall’orrore. Non ci rendevamo conto di quello che ci stava accadendo: vedevamo tutti i giorni gli scheletri, ma la morte per un bambino di 6 anni non è così terribile. Ci ricordiamo perfettamente il camino da cui uscivano fumo e fiamme: sapevamo che cos’era, ma solo ora mi sconvolge l’idea. Eppure mia sorella ha iniziato a fare pipì a letto dalla prima notte a Birkeanu e ha smesso di farla il giorno della liberazione”.
Dopo nove mesi un soldato con una divisa diversa e una stella rossa sul berretto arriva sorridendo, e offre a Andra e Tati una fetta del salame che sta mangiando: è il 27 gennaio 1945, la Liberazione. Una Liberazione che però per le sorelle Bucci non si traduce nel tornare semplicemente a casa. Inizia un nuovo viaggio: Andra e Tati vengono portate in un orfanotrofio a Praga, dove passano un altro anno e poi alcuni mesi a Lingfield in Inghilterra, in un centro di recupero diretto da Anna Freud, dove finalmente conosceranno la vera normalità. Solo tempo dopo rincontreranno la mamma su un binario di una stazione a Trieste, in mezzo a una marea di genitori che con la foto in mano sperano di ritrovare i propri figli. Proprio mamma Mira, con le sue visite nel campo di prigionia a rischio della vita, e il suo saper guardare oltre dopo la Liberazione, è rimasta l’àncora che ha permesso loro di rifarsi una vita.