Cronaca

Anche Piegaro ha la sua panchina rossa

Una panchina per non dimenticare, per restare uniti, per agire. E’ un simbolo ricco di significati quello della panchina rossa che dall’8 marzo impreziosisce Piazza Matteotti a Piegaro. Collocata a due passi dal Municipio, vuole essere il segno di una consapevolezza e di un impegno concreto: il contrasto ad un fenomeno che vede la donna in quanto tale vittima di inaudita violenza.

Con quella del capoluogo sono tre le panchine presenti sul territorio comunale di Piegaro. Tutte volute dall’Amministrazione comunale perché, come dichiarato dal vicesindaco Simona Meloni ”questa società ha più che mai oggi bisogno di simboli chiari che ci dicano dalla parte di chi vogliamo stare”.

Alla cerimonia di inaugurazione, che si è svolta proprio nel giorno in cui la comunità internazionale celebra la donna, hanno preso parte oltre a Meloni, il sindaco di Piegaro Roberto Ferricelli e l’assessore Samanta Bartolini. Al loro fianco gli studenti delle scuole medie dell’Istituto comprensivo, alla presenza dei due sindaci junior Giulia Morbidelli e Marco Salvatori, delle insegnanti e della vice preside Giselda Bruni.

“La panchina rossa – è stato spiegato – è il simbolo di vite spezzate, di famiglie distrutte, di figli orfani, di una società più debole e fragile. Una panchina per non dimenticare. Una panchina per non restare sole, per essere uniti, per simboli ed azioni concrete. La strada è ancora lunga, ma è necessario, oggi più che mai, costruire una società fondata sul rispetto delle differenze”.

“Abbiamo la necessità soprattutto – ha commentato Meloni – di abbattere luoghi comuni e stereotipi di una società che da una parte esalta la femminilità e l’indispensabilità della donna e dall’altra la relega a ruoli sempre marginali e subalterni. Serve un cambio di rotta – ha dichiarato – un rovesciamento della piramide, dando centralità a tutte quelle donne che si dimostrano capaci e competenti, che sanno intravedere un percorso e lo sanno portare avanti con determinazione. I numeri oggi ci dicono che dobbiamo ancora lavorare molto, a cominciare dai luoghi della scuola per fornire le basi di una nuova cultura di genere”.