“A pochi giorni dalla chiusura della caccia al cinghiale, quando cioè dovrebbe essere certa una consistente riduzione del loro numero per effetto del prelievo venatorio, assistiamo con stupore a continue segnalazioni di danni da parte di imprenditori agricoli umbri che, ormai, hanno raggiunto il limite della sopportazione.”
Ancora una volta è la Cia dell’Umbria a denunciare il disagio e l’esasperazione degli agricoltori, specie di quelli operanti nelle aree dell’Orvietano, in Alto Tevere, in Alto Chiascio e nella zona del Trasimeno.
Gli interventi fin qui posti in essere, infatti, si sono rivelati assolutamente inadeguati; la situazione non è più tollerabile e si trascina da troppo tempo nell’indifferenza generale.
A nulla sono serviti i prelievi straordinari messi in atto lo scorso anno e quelli previsti nelle scorse settimane, tanto che ormai è fin troppo chiara l’impossibilità di garantire una sensibile riduzione della presenza del suide.
Inoltre vi sono ritardi e gravi problemi per il pagamento degli indennizzi agli agricoltori; addirittura quelli operanti nelle aree protette hanno ricevuto dalle Province solo un misero 30 per cento del danno certificato, per giunta riguardante la stima del valore del “frutto pendente” a fronte di un consistente mancato guadagno che sarebbe loro derivato dalla vendita del prodotto trasformato.
A questo punto – secondo la Cia dell’Umbria – la Regione deve prendere atto della situazione e prevedere, accanto all’immediato indennizzo per gli agricoltori colpiti -peraltro alle prese con una crisi senza precedenti- sostanziali modifiche nella programmazione venatoria finalizzate, tra l’altro, ad una effettiva diminuzione del numero dei cinghiali, rendendo più capillare il controllo del territorio ed interessando maggiormente le zone demaniali per le quali finora non vi è stata una sufficiente attenzione.”
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