Domenica 6 giugno alle ore 15,30, presso la chiesa-auditorium di Santa Caterina a Vallo di Nera, nell’ambito della manifestazione Fior di Cacio, verrà presentato il libro “Riziero Flammini, pastore e cantastorie”, scritto da Agnese Benedetti. Il volume è parte del progetto “La Terra dei Racconti”, varato dieci anni fa, con la finalità di recuperare il vasto patrimonio della letteratura orale, conservato soprattutto nella memoria degli anziani. Nella Casa dei Racconti di Vallo, antenna dell’ecomuseo della Valnerina, sono conservati scritti, registrazioni, video, foto delle tradizioni e dei racconti popolari. L’iniziativa editoriale, inoltre, è ricompresa nelle attività dell’“Accademia del Fior di Cacio” costituita per promuovere e valorizzare le produzioni casearie di qualità della Valnerina e dell’Umbria, legate alle espressioni del territorio. Il protagonista del libro, Riziero -ottant’anni sabato prossimo- è uno degli ultimi seguaci dei professionisti della memoria e della parola, di quei maestri in rima, spesso autodidatti, che attingevano alla celebrata poesia cavalleresca classica per creare componimenti dove raccontavano la durezza e le malinconie della vita pastorale.
Ispirandosi per lo più ai capolavori di Ariosto e Tasso, che conoscevano a memoria, i pastori componevano poemetti e cantate, e li recitavano nelle lunghe marce di spostamento o la sera intorno al fuoco dentro la capanna di frasche. Come loro, Riziero racconta in ottave ed endecasillabi le esperienze della transumanza – affrontata per la prima volta a dieci anni con il ruolo di aiutante tuttofare, cioè biscino- e le giornate trascorse nella Campagna romana, a Maremma. Rivela, ora in versi ora con la prosa, gioie, privazioni, usanze contadine, preghiere, filastrocche e, l’ultimo, sanguinoso, passaggio della seconda guerra mondiale. La voce di Riziero è un interessante contributo nel panorama degli studi etnografici: la sua memoria straordinaria ha immagazzinato decine di versi riguardanti storie di briganti, di donnaioli, di personaggi fantastici e di figure vere, concrete, che egli narra usando il tipico ritmo cadenzato e sillabico delle ottavine, somiglianti a un moderno rap. Egli recita e compone, si esprime con termini eruditi o nel più familiare dialetto, reso talvolta curioso dalla mescolanza di tante inflessioni. Ogni azione quotidiana diviene poesia: dalla mungitura ai pascoli indicati per avere il prodotto migliore, cosicché le sue competenze non assumono solo un valore letterario ma fanno da matrice, insieme ad altre, a quell’economia casearia della Valnerina di oggi che ha fatto tesoro dei saperi remoti, legando le produzioni di nicchia, qualitativamente selezionate e molto ricercate, alla cultura del territorio. Agnese Benedetti, che del libro è l’autrice (prefazione di Gianfranco Flammini), ha raccolto frammenti, ricucito le narrazioni, tessuto il filo di quella che è una diretta testimonianza della vita della montagna appenninica di cinquant’anni fa, fatta di partenze e di ritorni e ispirata ai valori della sobrietà e della solidarietà. Dopo “La vacca che bevve la luna” pubblicato nel 2004 con l’editore Era Nuova di Perugia, per la Benedetti questo è il secondo contributo librario alla valorizzazione della cultura popolare.