Una media di quattro episodi al giorno. Le persone maggiormente prese di mira sono le donne e la professione quella dell'infermiere
Negli ultimi cinque anni, in Italia sono stati più di 12mila i casi di violenza, aggressioni, insulti e minaccene nei confronti del personale sanitario e socio-sanitario codificati dall’Inail. Si tratta di un fenomeno purtroppo in crescita, che mette a rischio non solo la sicurezza degli operatori sanitari, ma anche quella degli stessi pazienti.
Per sensibilizzare la popolazione a questo fenomeno, il Ministero della Salute dall’anno scorso ha istituito, nella data del 12 marzo, la “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari” che quest’anno si presenta con la campagna #laviolenzanoncura.
I dati degli ultimi anni
Sempre secondo i nuovi dati diffusi dall’Inail tra il 2019 e il 2021 ci sono stati 4.800 casi accertati di aggressioni contro gli operatori per una media di quattro episodi al giorno. Le persone maggiormente prese di mira sono le donne (71%), mentre, per la mansione, sono i tecnici della salute i più attaccati. Sono prevalentemente infermieri, in cui si concentra più in un terzo dei casi, ma anche educatori professionali e gli operatori socio-sanitari per il 29%, mentre la categoria dei medici è molto più distaccata con il 3% coinvolto.
Oltre alle istituzioni sono anche le associazioni di categoria e i sindacati a far sentire la propria voce oggi. “Ormai, purtroppo – dice ancora il Segretario Nazionale UGL Salute Gianluca Giuliano – c’è una totale percezione di insicurezza sul posto di lavoro tanto che un camice bianco su tre sembrerebbe convinto di lasciare il posto di lavoro. Sul tema l’intervento del governo atto a ripristinare i presidi di polizia nelle strutture ospedaliere è sicuramente un primo passo positivo come la campagna di sensibilizzazione annunciata dal Ministro Schillaci. Ma ancora non basta. Fare di tutto per fermare la violenza nei confronti degli operatori è una battaglia di civiltà che non può più attendere”.
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Come già detto è quella degli infermieri la categoria più colpita dalle aggressioni mentre svolgono il proprio lavoro. Purtroppo, però le cifre sono ben peggiori di quelle emerse pubblicamente anche negli ultimi giorni. Questa la preoccupazione di FNOPI, la federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche.
Una rilevazione effettuata da otto università, capofila Genova, effettuata sugli infermieri che hanno subito violenze fisiche o verbali mette in luce che rispetto ai circa 5mila casi denunciati in un anno ce ne sono 26 volte di più, circa 125.000, non registrati. Ancora più grave è che per il 75% sono violenze che coinvolgono donne e che nel 40% circa dei casi si è trattato di violenze fisiche. Vere e proprie aggressioni che hanno lasciato il segno: il 33% delle vittime è caduto in situazioni di burnout e il 10,8% presenta danni permanenti a livello fisico o psicologico.
“Molti colleghi, non solo infermieri ma tutte le professioni sanitarie che sono a contatto con l’utenza, non stanno denunciando soprattutto le aggressioni verbali, perché sembra quasi sia diventata una modalità relazionale con cui fare i conti quotidianamente”, ha detto la presidente Fnopi, Barbara Mangiacavalli.
È fondamentale che la società nel suo insieme e le istituzioni si impegnino per proteggere il personale sanitario, che svolge un lavoro essenziale per la tutela della salute e della vita delle persone. La violenza nei confronti degli operatori sanitari è inaccettabile e deve essere contrastata con ogni mezzo, anche attraverso la promozione di comportamenti rispettosi e di una maggiore attenzione alla formazione e alla prevenzione. Sostenere il personale sanitario significa sostenere la salute e il benessere di tutti.