Il Gip di Terni, Maurizio Santoloci, letti gli atti riguardanti il fermo di indiziato di delitto redatti dai Carabinieri nei confronti dei tre rumeni accusati di aver accoltellato, nella notte del 12 febbraio, un ragazzo ternano (leggi qui) ha deciso di convalidare l'arresto dei militari. Vista l’entità e gravità delle ferite inferte i 3 erano stati accusati di tentato omicidio dal P.M. Elisabetta Massini, che aveva evidenziato la condotta di vita finalizzata a commettere crimini, anche brutali, dei tre rumeni gravati da numerosi precedenti (due dei quali arrestati nel mese di agosto scorso, sempre dai Carabinieri, mentre effettuavano, dopo essere penetrati in una chiesa, un buco nelle pareti di confine con una gioielleria e da qui denominati “banda del buco”).
Il GIP nel dispositivo osserva quanto segue:
“Il fermo è stato eseguito nei casi e nei termini consentiti dalla legge in quanto i tre indagati sono stati bloccati ed identificati dai Carabinieri operanti sulla scorta di precise informazioni testimoniali…”;
“Il reato contestato dalla Procura è perfettamente pertinente e condivisibile in quanto la violenza usata, l’aggressione di gruppo, le modalità fredde dell’azione, l’assenza totale di ogni freno inibitorio nell’infliggere le coltellate denotano che certamente i tre indagati non intendevano concretizzare qualche leggera escoriazione alla giovane parte lesa, oppure una modesta ferita superficiale, ma certamente attraverso l’affondo del coltello che poteva attingere organi vitali in via diretta non potevano che volere direttamente ed in modo inequivocabile la morte del giovane …solo la robustezza del ferito aveva evitato conseguenze letali per lo stesso..”;
“il fermo eseguito in modo doveroso e proceduralmente corretto dai Carabinieri venga convalidato in quanto gli indizi, ed anzi le prove, erano perfettamente sufficienti e vi era il fondato e serio pericolo, anzi la quasi certezza matematica, della fuga dei tre soggetti…”;
“il gravissimo stato di pericolo sociale che i tre fermati rappresentano per il tessuto sociale sul nostro territorio, per il pericolo di fuga connaturale al loro stile di vita e per il pericolo di inquinamento delle prove che potrebbero esercitare minacciando le parti lese e testimoni. Il fatto che gli indagati sono soggetti notoriamente dediti al crimine è confermato dalla storia personale e anche dai precedenti penali che sono puntualmente registrati agli atti, i quali confermano una attività di vita sostanzialmente dedita a delinquere…”.
Il GIP inoltre rimarca con forza come i delinquenti sfruttino prassi del nostro sistema giuridico per ottenere scarcerazioni facili:
“potremmo definire ormai “criminali giuridici”, sfruttano ampliamente buchi neri e maglie procedurali interpretative delle regole processuali per sfuggire di fatto al sistema giudiziario e continuare a delinquere tranquillamente sul territorio come se nulla fosse. Da qui furono identificati nel gergo sociale comune come la “banda del buco”. Faceva parte ditale banda anche un terzo soggetto. Processati per direttissima e patteggiata la pena, furono immediatamente scarcerati…”;
“Va sottolineato che questa tipologia di soggetti sfrutta ormai in modo seriale il meccanismo di prassi del nostro sistema giuridico che vede facili scarcerazioni anche dopo delitti ripetuti sostanzialmente sul concetto in base al quale uno stato di incensuratezza terza formale sul certificato penale è automaticamente sinonimo di mancato pericolo di reiterazione del reato, di mancata la pericolosità sociale, di quasi diritto a ottenere immediatamente una scarcerazione immediata al di là del crimine commesso. Questa interpretazione, che questo Giudice non ha ma condiviso nella propria giurisprudenza pregressa, ha portato fino ad oggi sul territorio nazionale ad un vero e proprio problema di politica di prevenzione e repressione dei crimini (anche più efferati) in quanto frange sempre più estese di criminalità associata (anche se non organizzata) come in questo caso, hanno perfettamente percepito tale meccanismo procedurale e sostanziale e lo sfruttano in modo abile ai propri fini e tornaconti, avendo infatti intuito che lo stato incensuratezza formale (nonostante diverse condanne in primo grado non definitive) può consentirgli di uscire dal sistema carcerario sostanzialmente in poche ore e di continuare tranquillamente a delinquere perfino nella stessa città dove hanno svolto crimini fino a qualche giorno o ora prima. Sostanzialmente si è creato un meccanismo in base al quale in particolare alcuni settori di criminalità straniera hanno identificato anche con messaggi positivi al loro interno questo meccanismo di prassi e quindi sfruttano tale situazione per poter continuare a delinquere in modo praticamente ripetitivo senza temere di essere definitivamente bloccati al sistema giudiziario. Si tratta di bande di predoni dediti all’attacco del patrimonio privato, ma anche che attentano, come appare evidente in questo caso, alla incolumità delle persone, perché l’incoraggiamento dovuto da tali scarcerazioni facili galvanizza ed incoraggia il loro operato fino a spingerli a tentati omicidi come quello attuale che sono il corollario inevitabile di una vita dedica all’attività di tipo predatorio contro il patrimonio privato. Sfugge ormai tale dinamica ad ogni freno inibitorio, e per queste bande di predoni non è più dato identificare il confine ragionevole tra l’aggressione al patrimonio privato e l’aggressione fisica alle persone anche se, come in questo caso, per puro vandalismo personale e senza sostanzialmente alcun motivo apparente. Tutto questo avviene fidando sul fatto che sostanzialmente la scarcerazione comunque avverrà in termini ragionevolmente brevi atteso che magari il loro stato incensuratezza resterà ancora inalterato per mesi o anni e che potranno beneficiare di questa prassi attuata sul nostro territorio nazionale per un lungo periodo”.