Le motivazioni con cui il Tar dell'Emilia Romagna ha respinto l'istanza di una obiettrice che per ragioni etiche non voleva l'attività venatoria nel proprio fondo
La caccia non è solo un’attività ricreativa, ma persegue anche finalità che interessano la collettività, come la difesa degli ecosistemi, dell’agricoltura, della salute e dell’incolumità pubblica. Questa la motivazione contenuta nella sentenza (n. 321/2024) con cui il Tar dell’Emilia Romagna ha respinto l’istanza con cui la proprietaria di un terreno, definendosi obbiettrice di coscienza, chiedeva che l’area fosse esclusa dall’attività venatoria.
Una sentenza importante, perché riconosce l’interesse pubblico della caccia, individuata dal tribunale amministrativo non solo come un’attività ludica individuale, ma come un intervento funzionale all’equilibrio dell’ambiente e di difesa delle attività agro-silvo-pastorali, limitandone i danni. Ma la caccia contribuisce, sempre secondo i giudici amministrativi, alla pubblica incolumità, limitando la proliferazione incontrollata della fauna selvatica, che può causare rischi, ad esempio per gli utenti della strada.
Per questo, sempre come argomentato nella sentenza, i proprietari dei terreni non possono ostacolare, per ragioni puramente etiche, l’attività venatoria, tutelata, proprio per le sue funzioni, da più norme della Corte Costituzionale.
Una sentenza, dunque, che al di là della contestazione costituisce un precedente importante per il mondo venatorio, che vede affermata la propria funzionale sociale e, conseguentemente, le proprie tutele normative.