Fratini, Americioni e Speranzoni condannati a risarcire la Usl con quasi due milioni di euro. La sentenza della Corte dei Conti
Sandro Fratini (ex direttore della Usl), Roberto Americioni (ex direttore amministrativo) e Guglielmo Speranzoni (ex direttore del Dipartimento di Prevenzione) sono stati condannati dalla Sezione dell’Umbria della Corte dei Conti a un risarcimento in favore dell’azienda di 1milione 787mila e 568 euro (oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi ). L’accusa risale a fatti avvenuti nel 2015, quando, con 4 determine, i vertici della Asl avrebbero “approvata una sanatoria in relazione a oltre trecento verbali di contestazione per violazioni delle prescrizioni a tutela sanitaria – si legge nella sentenza – (aventi particolare riguardo a gravi irregolarità nella tenuta dei registri degli equidi e nei doverosi controlli annuali sull’anemia infettiva equina).
I fatti e le 300 multe del Corpo Forestale
Tra il 2009 e il 2010 gli uomini del Corpo Forestale dello Stato avevano elevato circa 300 contravvenzioni rispetto alle quali “i convenuti, competenti a dare seguito ai verbali del Corpo Forestale, avevano omesso di dar corso al completamento delle procedure. Ciononostante, i convenuti, nell’esercizio del potere di autotutela, adducendo l’incertezza normativa e burocratica, hanno disposto l’annullamento generalizzato di tutte le sanzioni amministrative irrogate e l’archiviazione di tutti i procedimenti amministrativi in relazione ai quali non era ancora stata irrogata alcuna sanzione, in tal modo determinando un consistente danno alla finanza pubblica regionale. La Procura regionale sostiene che non esisteva alcuna incertezza normativa, né di tipo burocratico” – recita ancora la sentenza di primo grado (non si eclude infatti la possibilità di appello, ndr).
Respinta istanza di prescrizione e sanzione milionaria
Tramite i loro legale gli indagati avevano chiesto la prescrizione, rigettata perché “la ricezione della notitia damni da parte della Procura regionale risale al 12 gennaio 2016 (mentre il Corpo forestale dello Stato ha avuto conoscenza degli atti soltanto in data 13 novembre 2015)”. La sanzione è stata invece “giustificata dalla necessità di tutelare la salute pubblica e quella della razza equina stante la diffusione in quegli anni dell’anemia infettiva equina. La prevenzione e il contrasto della diffusione di questa epidemia equina ha trovato nelle ordinanze del ministero della salute una risposta importante. A fronte di due denunce aventi ad oggetto la diffusione di tale anemia, a causa delle mancanze ed inadempienze nell’attivazione dei controlli da parte del servizio veterinario dell’ASL, il Corpo forestale dello Stato era stato incaricato di svolgere una minuta azione di controllo, la quale ha determinato l’emersione di diffuse irregolarità, non solo aventi ad oggetto la mancata effettuazione di test per il riscontro della malattia, ma, più a monte, relative alla identificazione degli equidi (registro di carico e scarico, passaporto equino, etc.)”.
Illegittima la difesa del “provvedimento in autotutela”
Nella loro difesa gli imputati hanno sostenuto di aver agito in “autotutela”, ma la sentenza chiarisce: “Come ha correttamente evidenziato la Procura regionale, con il provvedimento in autotutela n. 34 del 2015 sono state revocate molte ordinanze-ingiunzione divenute inoppugnabili per decorso dei termini e, inoltre, sono stati archiviati e non conclusi procedimenti sanzionatori legittimamente incardinati dal Corpo forestale dello Stato”. E ancora “Il provvedimento in autotutela, quindi, si rivela illegittimo per una serie di ragioni, cosa che denota una colpa gravissima dei convenuti, la cui azione ha impedito non soltanto l’introito di somme di denaro (il danno erariale contestato correttamente da parte requirente), ma anche l’adozione di misure sanzionatorie efficaci, dissuasive e effettive previste dal diritto eurounitario e soprattutto dall’ordinanza ministeriale del 2007 a tutela della salute pubblica, rendendo più difficile quell’azione di tutela degli interessi pubblici curati dal piano di sorveglianza imposto a livello centrale dal Ministero della salute e non attuato correttamente a livello regionale e provinciale (come asseverato dall’indagine del Corpo forestale dello Stato)”.