Delle lesioni sottovalutate da parte di un medico del pronto soccorso di un ospedale della provincia di Perugia, rispettivamente ad un dito e ad una mano, avevano portato due diversi cittadini ad affrontare visite, interventi e disagi.
Per questo, dopo che l’allora Usl 2 aveva rimborsato i pazienti, la dottoressa che non avrebbe approfondito i traumi per i quali i due cittadini – in tempi diversi – si erano rivolti al presidio sanitario è finita sotto processo davanti alla Corte dei conti. Ed è stata condannata, con due diverse sentenze, a pagare all’attuale Usl Umbria 1 in tutto 51mila euro.
Il primo episodio è relativo ad un uomo che nell’ottobre del 2009 era stato costretto a ricorrere alle cure del pronto soccorso dopo lo schiacciamento del pollice della mano sinistra. In ospedale era stato sottoposto ad una radiografia ed il dito gli era stato steccato; la prescrizione del medico del pronto soccorso, il cui referto parlava di “microdistacco“, era di tenere il bendaggio con la stecca per 10-15 giorni. Ma con il passare dei giorni l’uomo non aveva riacquisito la capacità di flettere il dito. Si era quindi rivolto ad un ortopedico che aveva dato tutt’altra diagnosi rispetto a quella del pronto soccorso: si trattava di una “lesione tendinea del flessore”. Due mesi dopo, quindi, l’uomo era stato sottoposto ad un intervento chirurgico al pollice. A cui ne era seguito un secondo, a maggio 2010, visto che non riusciva ancora del tutto a piegare il pollice, e poi la riabilitazione.
L’assicurazione dell’azienda sanitaria locale, dopo una perizia, aveva pagato al paziente 14mila euro. Ed il collegio della Corte dei conti (Nicolella presidente, Siragusa e Vetro a latere) con sentenza depositata nei giorni scorsi, ha ritenuto la dottoressa colpevole, condannandola a rifondere l’attuale Usl 1 di quanto versato al paziente tramite l’assicurazione. “Il Collegio – si legge nella sentenza – ritiene che la colpa che ha connotato la condotta della [dottoressa] non possa che essere ritenuta di particolare gravità, tenendo anche conto che eventi lesivi di tale consistenza, quale quello provocato dalla convenuta, sarebbero stati facilmente evitabili con una corretta ed accurata diagnosi precoce“.
Sempre lo stesso medico è stata condannata dallo stesso collegio della magistratura contabile per un altro episodio di malasanità, avvenuto qualche mese più tardi nello stesso pronto soccorso. In questo caso la richiesta risarcitoria avanzata, ed accolta dai giudici, è di 37mila euro, considerando anche che il paziente protagonista della vicenda ha riportato dei danni permanenti alla mano destra. Tutto è iniziato nel luglio del 2010, quando un uomo era ricorso alle cure del pronto soccorso dopo essersi ferito all’avambraccio destro durante dei lavori di potatura. Il medico, dopo la visita, lo aveva dimesso con la diagnosi di “ferita da taglio avambraccio destro“, con 3 punti di sutura e 8 giorni di prognosi. Nei giorni successivi, l’uomo si era recato dal suo medico di famiglia per togliere i punti di sutura. Ma quest’ultimo emetteva però un’altra prognosi oltre alla ferita superficiale: un “contusione profonda con ematoma ed edema avambraccio che determina ipofunzione muscolo tendinea del 4° e 5° dito“; indirizzando inoltre il paziente ad una visita specialista, alla quale seguiva, a settembre, un’ecografia. Quindi ancora visite specialistiche ed elettromiografie. Dall’ultima, a dicembre 2010, emergeva la “denervazione completa sensorio motoria nel territorio del nervo ulnare per la mano“. L’indagine interna dell’Usl e la consulenza dell’assicurazione dell’azienda sanitaria avevano quindi chiarito che se ci fosse stata una corretta diagnosi da parte del medico del pronto soccorso, il paziente avrebbe potuto essere sottoposto prontamente ad un intervento chirurgico per la lesione del nervo della mano, che avrebbe potuto avere una buona possibilità di successo. Così, però, non è stato.