Eroina e cocaina per le strade di Perugia: un traffico di droga stroncato dalla polizia del capoluogo umbro e dagli uomini, in primis, della Seconda Sezione antidroga degli uffici di via del Tabacchificio. 9 gli arresti eseguiti fino ad ora dalla polizia, su disposizione del gip Lidia Brutti. Nel registro degli indagati, a seguito dell’inchiesta condotta dal pm Manuela Comodi, compaiono in 27. 17 le ordinanze di custodie cautelare emesse a seguito delle indagini, 8 le persone ancora ricercate.
E’ questo il risultato di un’indagine che ha preso il via nel 2014, quando a Perugia furono in diversi a finire in overdose: il contrasto allo spaccio su piazza continua ad essere primario per la polizia, tanto da far dire oggi Questore Francesco Messina che “Perugia non è più la capitale della droga“. Già all’epoca furono un paio i rimpatri di spacciatori più noti e importanti sulla piazza, proprio perché per gli inquirenti la paura restava una: che l’eroina a Perugia facesse ancora vittime.
Dopo la lunga indagine, condotta attraverso appostamenti, ricerche e intercettazioni telefoniche, a finire in manette sono i cosiddetti “rami bassi” dello spaccio: si tratta di uomini perlopiù di origine straniera, di cittadini proveniente dal Maghreb, Afghanistan, Albania, Liberia. Negli indagati compare anche una donna, italiana, individuata come “assaggiatrice” del gruppo. Un gruppo, tuttavia, che non era composto da persone legate tra loro da “un’associazione a delinquere“, tanto che per gli indagati non si configura questo tipo di reato. Si tratta piuttosto di un “mutuo soccorso“, in base al quale, a seconda del meccanismo di domanda e offerta, gli spacciatori si venivano incontro, per rifornire i consumatori della droga richiesta. Uno “spaccio liquido, per dirla alla Bauman“, ha detto il Questore per dare l’idea di come la rete riuscisse a modificare il suo modo di agire a seconda delle esigenze della domanda. Ciò vuol dire che tra loro non c’è una vera e propria suddivisione del territorio, ma piuttosto un controllo ramificato. “Non è come a Palermo – ha dichiarato il Questore – dove gli spacciatori devono pagare il pizzo. Non siamo a quel livello, e spero non ci arriveremo mai. Certo non siamo a Disneyland. L’attenzione continua ad essere alta, ma per la polizia al momento la priorità è un’altra, ossia il terremoto“.
I pusher davano così appuntamento ai loro contatti alla Verbanella, ai “3 paletti“, che tutti riconoscono nello spazio nei pressi del Liceo Scientifico Galilei, a Ponte San Giovanni o ancora a Ponte Felcino. I fatti, inseriti nell’inchiesta della polizia che ha portato ai 9 arresti di questi giorni, risalgono come detto già al 2014, verificatisi soprattutto nelle zone di Fontivegge, Monteluce, Ponte San Giovanni e via della Pescara. I canali di approvvigionamento per i pusher erano fondamentalmente due: Napoli e il Belgio.
L’inchiesta, dopo il primo fermo di un presunto spacciatore italiano, si è poi dipanata in un sottobosco di pusher, i quali solitamente si rifornivano da “grossisti” della droga di origine nigeriana. In tanti a rifornirsi erano trasfertisti, dunque consumatori provenienti da città fuori Umbria. Alcuni spacciatori sono stati rintracciati anche a Torino, Napoli, Cremona e Vicenza.
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